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Sopra il tavolo, il Pos campa

Lo davano già per ripiegato e riposto in soffitta ma il tavolo sui costi dell'uso del Pos, con un colpo di reni, ha prodotto quel fattivo nulla che serviva a qualcuno per non perdere la faccia

 

 

Oggi, per la serie “come è andata a finire”, ci occupiamo del lieto fine di una vicenda che, lo scorso autunno e inverno, suscitò uno degli abituali peti travestiti da guerre di religione che caratterizzano il dibattito pubblico di questo paese. Parliamo del tentativo del governo Meloni di evitare ai commercianti di essere pagati con carta di pagamento, entro dati limiti di valore della transazione.

DIO, PATRIA E CONTANTE

Perché tutto partiva da lì, se ricordate: portare da 30 a 60 euro il limite oltre il quale i commercianti sono esentati dall’obbligo di consentire il pagamento con carte e bancomat. Che è un simpatico modo per allargare, almeno potenzialmente, le maglie dell’evasione. Conosco l’obiezione: se si paga in contanti ma viene rilasciato scontrino, resta la tracciabilità. Ma, come i più intuitivi tra voi comprenderanno, avere un tracciamento tramite pagamento con moneta di plastica è più disagevole e non consente manovrine del tipo scordarsi di battere lo scontrino, nella frenetica esistenza che ognuno di noi conduce.

Il provvedimento idealmente era accoppiato all’aumento del tetto del contante a 5.000 euro, per fare “respirare” l’economia, secondo la vulgata. Quindi eravamo di fronte a una manovra di “lubrificazione dei consumi” dal basso e dall’alto, in termini di importi. Ma anche al tentativo di strappare poveri pensionati alla morte per inedia, in caso fossero stati “costretti” (non è chiaro da chi) a pagare con moneta di plastica. Lo slogan era una cosa del tipo “siamo liberali, quindi sì alla libertà di scelta”. Applicato tuttavia non al consumatore, figura residuale, ma al commerciante, stella polare del mondo del fare e più non disturbare. Strani mondi.

La manovra non riuscì per i brontolii provenienti dalla perfida Bruxelles, pare. A nulla valsero le elucubrazioni dei nostri patrioti, premier in testa, che omaggiavano il contante come unico mezzo di pagamento pubblico, in quanto emesso dalla Banca centrale europea, quella che lo stesso ambito patriottico denuncia da sempre come sentina demo-pluto-giudaico-massonica e, soprattutto, privata. Ma non divaghiamo.

La realtà era il ritorno, anzi la permanenza, della sanzione di 30 euro più il 4% della transazione per chi rifiuta il pagamento con carta, con grande scorno di tutti quelli che, a legge non ancora approvata, avevano affisso trionfanti cartelli sulle vetrine o rifiutavano la moneta elettronica al grido di “è finita la pacchia”.

SI APRA IL TAVOLO

A quel punto, occorreva fare qualcosa. Alla bisogna, si levarono alti i lai dei commercianti, che denunciavano di essere taglieggiati dalle commissioni sui pagamenti con moneta di plastica, tra canoni di noleggio dei cagionevoli Pos, che spesso (forse solidarizzando con l’esercente) cadono malati e smettono di funzionare, e commissioni sulla transazione. Una tecnologia molto sofisticata ma fragile, si direbbe.

Il governo decise di aprire il solito tavolo tra banche e commercianti, per ridurre (ma che dico?, azzerare!) le commissioni. Altrimenti? Altrimenti ci arrabbiamo, promise la premier, che con grande sprezzo del ridicolo giunse a definire “extragettito” i ricavi delle banche provenienti da noleggio del terminale Pos e commissioni sul transato. E quindi, vi schiaffiamo una “tassa sull’extragettito”. Meloni aggiunse: “I proventi della tassazione serviranno per aiutare gli esercenti”, in una scena dickensiana in cui gli esercenti trascinavano se stessi e la loro prole lacera, chiedendo aiuto.

E sia. Si aprì il tavolo e poi non si seppe più nulla, al netto di periodici rinvii delle milestone (perché c’è sempre una milestone, da qualche parte: basta saperla vedere) che ci si era dati. Passarono anche le deadline delle milestone. Ad esempio quella, messa in legge di bilancio, che gridava manzonianamente che, in caso di mancato accordo allo scorso 31 marzo, i prestatori di servizi di pagamento sarebbero stati colpiti da un contributo straordinario pari al 50% degli utili derivanti dalle commissioni e da altri proventi per le transazioni inferiori al limite di valore di 30 euro. Vai a capire come creare in tempi così rapidi questo inesorabile meccanismo di misurazione degli “extraprofitti” secondo il governo dei Patrioti. E infatti.

Nella giornata di ieri, la svolta. Quando, ampiamente fuori tempo massimo, i partecipanti hanno emesso un comunicato piuttosto generico, ma dall’incipit solenne:

È stato raggiunto l’accordo tra ABI, APSP, CNA, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti e FIPE per la definizione del “Protocollo d’intesa per la mitigazione, la maggiore comprensibilità e comparabilità dei costi di accettazione di strumenti di pagamento elettronici”.

INVITI E SCHEMI STANDARD

Tutto si riconduce alla pubblicazione di uno “schema standard” per agevolare la comparabilità dei costi dei servizi offerti. Sette mesi per partorire un simile topolino rachitico?, direte voi. Non siate ingenerosi, c’è stato bisogno di studiare la problematica in modo approfondito. E, soprattutto, c’era bisogno di non “fare cartello”, cioè di non adottare un prezzo unico per tutti gli intermediari, che l’Antitrust non avrebbe potuto accettare. Quindi sì, questo è quello che abbiamo prodotto in sette mesi: un “invito”. Ma dal profondo del cuore, sia chiaro:

Nello specifico l’ABI e l’APSP si impegnano a invitare i propri associati, che operano in qualità di “soggetti abilitati all’accettazione di pagamenti con carta presso gli Esercenti” a promuovere iniziative commerciali nei confronti degli Esercenti, volte a ridurre l’impatto dei costi delle transazioni di basso valore, cioè di importo non superiore a 30 euro. In particolare, tali iniziative commerciali dovrebbero essere significativamente competitive per quanto riguarda le transazioni di importo unitario almeno fino a 10 euro. Le iniziative commerciali andranno pubblicizzate per almeno 6 mesi e avranno durata non inferiore a 9 mesi.

Nel frattempo i costi dei pagamenti elettronici, che già stavano scendendo, continueranno a scendere. Ci saranno iniziative promozionali ulteriori, magari infiocchettate in qualche bel bundling di servizi, dove in caso recuperare la marginalità complessiva con l’offerta di altri servizi. Soprattutto, la serenità dei “piccoli esercenti”, quelli con volume d’affari fino a 400 mila euro annui, è stata nel frattempo accudita con la flat tax incrementale, che consentirà di far emergere la loro indiscussa abilità imprenditoriale nel corso di quest’anno, pagando solo il 15% sino a un dato limite d’incremento dei ricavi. Decisamente, i costi del Pos peseranno meno.

All’orizzonte ora c’è il concordato preventivo, quella iniziativa in base alla quale l’autonomo paga per un biennio imposte in base alla stima dell’Agenzia delle Entrate, e si tiene il resto. Ma, in caso di recessione, questa rimasticatura di tempi che furono finirà male, come a quei tempi. Ma non portiamoci troppo avanti: per ora c’è soddisfazione, il Pos non è più un elemento di dissesto economico. Carpe diem.

E ora, poiché l’appetito viene sedendosi ai tavoli, attendiamo il paniere della spesa anti-inflazione progettato dal ministro Adolfo Urso. Anche qui, non verrà fatto cartello con prezzi unici per tutti, per evitare la censura dell’Antitrust. Ottima occasione per qualche patriota per rimarcare che questa ubbìa della concorrenza che ostacola la felicità d’aaa nazzzione andrebbe estirpata una volta per tutte, non limitandosi ad abortire ogni anno la cosiddetta legge sulla concorrenza. Ma ci sarà modo per raggiungere anche questo traguardo, vedrete. Quando c’era la tessera annonaria, caro lei.

 

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