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Sono i cittadini l’origine dei mali italiani (e anche un po’ Vince Lombardi e le multinazionali uzbeke)

“I successi di un’organizzazione sono il risultato di una combinazione di sforzi individuali” e “l’impegno dei singoli ad uno sforzo di gruppo, è quel che fa funzionare una squadra, un’azienda, una società ed una civiltà”, sono due delle molte frasi meritevoli di riflessione che ci ha lasciato Vince Lombardi, uno dei più grandi allenatori nella storia del football americano (quello che si gioca con la palla ovale, per intenderci).

A molti, il principio che vi viene espresso potrà apparire ovvio; tale però non è per quei nostri connazionali, e sono la stragrande maggioranza,  perlomeno tra quelli che scrivono sulla Rete, che dei problemi italiani riescono ad incolpare tutti, proprio tutti, salvo assolvere i cittadini italiani da qualunque responsabilità.

Il paese, ci spiegano alcuni tra questi blogger, sconta i peccati della sua classe dirigente: dei suoi governi dall’Unità in poi; dei suoi partiti, nessuno escluso; dei dirigenti delle sue aziende e di quelli dei suoi sindacati.

Di una classe politica, in particolare, che a sentir loro pare sia generata spontaneamente, per virtù d’influssi astrali, da un materiale sociale privo di difetti; quasi che l’Italia non avesse ormai alle spalle 150 anni di unità ed indipendenza e  sessanta e più anni di ritrovata democrazia, in cui si sono tenute regolari elezioni, tanto a livello nazionale che locale.

Qualcuno al sud arriva a dare la colpa ai “piemontesi” e a Garibaldi; qualcun altro al nord, e poi dicono che non siamo un paese unito, fa la stessa cosa.

Ci si chiede perché non se la prendano con i Cartaginesi (e in effetti molti leghisti ce l’hanno con i Romani) o con i Galli di Brenno; soprattutto, se abbiano mai riflettuto sul fatto che altre nazioni, magari con una storia ancor più drammatica della nostra, siano riuscite a cambiare completamente il proprio destino nello spazio di una generazione.

Se ricordino che la Corea, già colonia giapponese e poi distrutta dalla guerra, apparteneva al terzo mondo ancora negli anni 50 o che la stessa “mitica” Svezia era poverissima solo un secolo fa, come certo saprà chiunque, a proposito di football americano, abbia avuto a che fare col Minnesota, in larga parte ancora abitato dai discendenti di emigrati scandinavi.

La verità è che l’Italia, nel male quanto nel bene, è come l’abbiamo costruita noi e, in misura decisamente meno rilevante, come ce l’hanno lasciata i nostri padri ed i nostri nonni; che la sua classe dirigente è quella che noi abbiamo formato e, più in generale, che i suoi problemi derivano, prima di tutto, dalla nostra pessima qualità di cittadini.

Non c’è nessuno complotto internazionale dietro la formazione del nostro debito pubblico, solo la nostra stupida convinzione che quel debito non ci toccasse; che, per quanto velocemente si ingrandisse, per quanto male operasse la classe politica, fosse in fondo cosa dello Stato e quindi non nostra.

E’ la stessa maledetta incapacità di comprendere d’essere un sessanta milionesimo dello stato che abbiamo quando, chiamati a lavorare per la pubblica amministrazione, facciamo il meno possibile, come se non lavorassimo per tutti e prima di tutto per noi stessi, sovrani d’Italia, ma per nessuno.

E’ la stessa attitudine che dimostriamo quando arriviamo a comprendere le ragioni di chi evade il fisco o di chi froda un pensione che non merita; evasori e falsi pensionati sono dei furbi, arriviamo a dirci, che al massimo danneggiano lo Stato, senza capire che rubano, invece, a noi ed ai nostri figli che siamo lo Stato.

Non ci fidiamo di noi stessi, questa è la prima ragione di tutto il malcostume nazionale.

Raccomandazioni e mala politica sono come l’uovo e la gallina; impossibile dire quale venga per primo: per certo le une portano all’altra e viceversa. Sono la dimostrazione lampante della nostra incapacità di avere fiducia nel sistema che abbiamo creato: dicono tutto della nostra scarsissima autostima; di quanto, alla faccia dell’orgoglio che diciamo d’avere, poco siamo convinti del nostro valore.

Potremmo vincere comunque; siamo tanto stupidi da pagare l’arbitro per farlo o di partecipare solo a quegli sport, che magari neppure ci piacciono, in cui l’arbitro è un nostro amico, parente o conoscente.

Altro che democristiani, comunisti, piemontesi, Berlusconi o chi volete voi: sono sessanta milioni di cittadini italiani (ovviamente escluso tu che mi leggi) ad aver creato e sopportato il sistema che oggi sta crollando. Siamo noi ad aver barattato la nostra dignità per questo o quel favore, ad aver sopportato in silenzio ogni forma di sopruso, nella convinzione, da capi-caseggiato bulgari, di essere dalla parte di sopraffattori e non, come avrebbe dovuto apparirci evidente, sempre e comunque da quella dei sopraffatti.

E’ questa sfiducia anche all’origine della nostra incapacità di fare squadra, di fidarci dell’allenatore, chiunque questi sia (qualcuno mi vuole citare un solo uomo politico italiano del dopoguerra che non sia stato considerato servo di x, venduto a y, o emissario di z?) e di svolgere al meglio il nostro compito, fosse anche solo quello di votare secondo coscienza, senza cercare dei vantaggi individuali a scapito del risultato dell’Italia.

Monti non piace. Lecito. Possiamo sostituirlo con chiunque vi venga in mente, cambiare i suoi ministri con altri, ma se non cambieremo come cittadini non ne caveremo nulla.

Continueremo, maledicendo gli Assiri, dando la colpa alle multinazionali uzbeke e ai complotti della finanza del Burkina Faso, ad affondare.

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