Si vuole salvare Berlusconi per salvare i partiti e non il Paese

In questa calda estate, mentre il Paese langue, la maggioranza politica si diverte, gioca con le parole, che utilizza come copertura per rendere accettabili presso il pubblico linee politiche inaccettabili. E così chiama agibilità politica quella che è la vanificazione della sentenza di condanna di Berlusconi, il suo salvataggio, chiama salvezza del governo e del Paese quella che è la salvezza dei partiti maggiori e dei loro dirigenti.
C’è il pericolo concreto di un’uscita di scena di Berlusconi e ciò mette il PDL e il PD di fronte a loro stessi e al loro futuro. Ma questi partiti non sanno che pesci pigliare. Il PDL sopravvive, indeciso tra la costruzione di una nuova destra, il rifugio berlusconiano e quello degli altri partiti. Il PD non sa se dar vita ad una nuova DC o a un nuovo partito socialista. Incapaci di costruire il loro futuro, come bizzoche impazzite per la paura di un domani politico pieno di incognite e di incertezze, interpretano la commedia di sempre, la commedia del conflitto tra chi vuole cacciare il cavaliere dal Parlamento e chi vuole mantenerlo al suo posto. E per esorcizzare il destino crudele che incombe sulle loro teste recitano le loro litanie e le loro giaculatorie.
Per la destra: "La condanna di Berlusconi è frutto del complotto dei magistrati, non si può togliere dalla scena politica il leader di un partito votato da 10 milioni di voti". Per la sinistra “le sentenze vanno rispettate, tutti sono uguali davanti alla legge”. Entrambi contano su Napolitano e sul Parlamento perché trovino una soluzione all’affaire Berlusconi, e li tirino fuori dalla difficile situazione in cui sono impigliati. Ma non ci sono le condizioni giuridiche per un provvedimento di clemenza del Quirinale, e mancano le condizioni politiche per un intervento di salvataggio del Parlamento. Berlusconi non ha chiesto la grazia, e questa non può essere concessa per ragioni politiche relative al suo status di leader di un movimento votato da milioni di persone. E, d’altra parte, un intervento del Parlamento è inconcepibile a fronte di un‘attività criminosa meramente privata, neppure motivata da ragioni politiche, quale è l’evasione fiscale pro Mediaset.
A sgomberare il campo dalle illazioni della destra sulla sovranità popolare e sul complotto dei giudici, basterebbe ricordare il principio di legalità, di uguaglianza e della sovranità popolare.
Ma che cos’è la sovranità popolare, a che cosa serve? A garantire l’impunita e più diritti a chi ha più voti? Se fosse questa la sua funzione negherebbe in radice se stessa perché la sovranità non può vivere senza la legalità e l’uguaglianza. Una sovranità senza legalità ed uguaglianza segna la fine della democrazia.
Quando una persona commette un reato è solo un uomo, quando va davanti al giudice è solo un uomo, quando questo giudice lo condanna o lo assolve è solo un uomo e non conta il suo status, le sue funzioni, tranne lo status e le funzioni previste e disciplinate dalla legge. Al di fuori di queste non esistono circostanze valutabili dalle istituzioni per provvedimenti di clemenza, si chiamino grazia o modifica della pena. Le ragioni politiche non rientrano tra quelle legittimanti la grazia, che può essere concessa solo per ragioni umanitarie.
E poi il complotto dei magistrati: Berlusconi sempre e comunque vittima, in tutti i processi passati e futuri. Centinaia di fattispecie criminose inventate di sana pianta da centinaia di magistrati di tendenze politiche diverse, che si sono messi d’accordo per farlo fuori, anche prima che entrasse in politica.
“Ma mi faccia il piacere!” Avrebbe detto Totò. La tesi del complotto, prima che eversiva, è ridicola. Ma questa è la commedia del conflitto. Quali le ragioni vere di questa insistenza, di questa litania sul complotto dei magistrati e sulla intangibilità di chi ha avuto i milioni di voti?
Il pericolo di un’uscita di scena di Berlusconi ha gettato nel panico i suoi uomini che, dopo la recente fallimentare esperienza per la costruzione di una destra moderata, non sanno che fare: ritentare nell’impresa, rifugiarsi presso altre parrocchie o aggrapparsi a Berlusconi e famiglia. Per fare la destra, e in specie la destra berlusconiana, quella a cui sono abituati, quella che conoscono, quella che sanno fare, ci vogliono soldi e televisioni, e loro non hanno né soldi né televisioni. Rifugiarsi presso altri partiti significa accettare un ruolo subalterno, iniziare daccapo, accettare la triste condizione dell’ultimo venuto. E per questo si aggrappano al capo, per sopravvivere, per conservare il posto e il potere, per questo lo difendono comunque, qualunque cosa faccia, qualunque attività, anche se non è politica, anche se è un‘attività privata del Berlusconi imprenditore, anche se non è salvabile.
E quale il significato della giaculatoria del PD?
L’uscita di scena dal cavaliere impone al PD di fare i conti con se stesso, di decidere cosa vuol fare da grande. Scomparso il comodo paravento dell’antiberlusconismo di maniera, recitato più che praticato, che teneva in piedi anime diverse, interessi diversi e sopiva vecchi rancori, il partito di Epifani deve decidere se vuole essere una nuova DC o un nuovo partito socialista. Non basta il vago accenno di Letta, al meeting di Rimini, contro la finanza, il partito deve decidere se accettare l’art. 18, se accettare Marchionne o gli operai di Marchionne. Deve decidere il suo approccio con la comunicazione, con la globalizzazione. Vuole scimmiottare la comunicazione berlusconiana, che è una comunicazione di destra che plagia gli ascoltatori o sperimentare la comunicazione che esalta la capacità critica che è proprio di sinistra?
Sono questi i nodi da sciogliere, ma il partito è debole, ha paura, non ha una linea politica, non ha una leadership degna di questo nome. E tutto ciò lo manda in fibrillazione.
In questa situazione decisiva e disperata, l’unica ancora di salvezza per questi partiti è il Quirinale e il Parlamento, da cui si attendono l’amnistia, un qualche provvedimento di clemenza o un qualsiasi atto che valga a salvare il cavaliere e loro stessi.
Ma per che cosa dovrebbero intervenire queste istituzioni, per difendere un’attività politica del Berlusconi politico? In presenza di reati commessi per interesse privato appare difficile invocare le ragioni politiche per giustificare un provvedimento istituzionale di salvataggio.
Se ciò avvenisse, se l’istituzione, Quirinale o Parlamento, scambiasse un fatto privato per un fatto politico non commetterebbe solo una grave scorrettezza, ma degraderebbe la politica ad affare privato, coinvolgendo in questo degrado anche i partiti che si vogliono salvare.
Foto: Wikimedia
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