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Stati Generali: nessuna costruzione di un’Europa politica

Al tavolo degli Stati generali è mancata una riflessione sui limiti della risposta europea alla pandemia,che fino ad oggi si è rivelata disordinata inconcludente ed inefficace. Ne sono state «sollevate domande» sulla preparazione dell'UE ad affrontare questa emergenza, e più in generale sulla necessità di risolvere le incongruenze della costruzione europea. 

Nessuna considerazione sulle contraddizioni di una Unione europea che, fino ad oggi, hanno impedito non solo una politica sanitaria comune per debellare il virus, ma anche una politica industriale, finanziaria, fiscale, una politica estera comune.  

Nessun dibattito sulla richiesta di Merkel Macron e i leaders di Polonia, Spagna e Belgio all'UE, formalizzata in una lettera al presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di prepararsi alla prossima pandemia, ad una seconda ondata del virus e a future crisi, rafforzando il mandato del Centro europeo per la prevenzione e diffusione delle malattie,centralizzando determinati dati, per monitorarli costantemente e confrontarli, predisponendo stock di indumenti protettivi, eccetera. 

Il fatto è che la classe dirigente europea non vuol capire che la pandemia non è solo una questione emergenziale, ma anche strutturale, perché non investe solo il settore sanità e quelli collegati, ma l'intera politica industriale europea.

Per questo la discontinuità di Merkel e Macron, il cambiamento auspicato dal governo danese e da altri paesi UE, deve avere un valore più ampio e strategico. Quale dovrebbe essere la stella polare di un ripensamento per forza di cose radicale? La risposta a tutto ciò non può essere il ritorno alle nostre abitudini, alle nostre libertà, come se nulla fosse avvenuto.

Non basta rafforzare una specifica politica industriale, ricerca e finanziamenti dedicati, e neppure un ampliamento delle competenze europee nel settore sanità, occorre superare la normativa che affida ai singoli stati la gestione delle emergenze sanitarie.

E più in generale, occorre un sistema decisionale ad impronta europea, he affida le redini del comando agli organismi decisionali transnazionali (Parlamento, Commissione, BCE) ed emargina quelli nazionalistici. Un’accozzaglia di stati in lotta tra di loro, non può dare una risposta efficiente ed equilibrata ad una questione coordinamento e solidarietà.

La dimensione nazionale non è uno spazio sufficiente per risolvere una questione globale.

Per gestire la pandemia non basta cambiare le politiche, nuovi programmi, nuovi ministri , occorre cambiare la politica e quindi avere dei valori costituzionali di riferimento nella definizione dei programmi e nella scelta della classe dirigente, e non il consenso. Occorre finirla con il pragmatismo che cristallizza la situazione senza cambiarla ,che rincorre la realtà e non l' anticipa. Occorre ritornare ai valori all’ideologia Occorre favorire la nostra capacità argomentativa, critica, e quindi la nostra i partecipazione consapevole alla vita politica che è in atto su internet. Significa, smetterla con la politica mediatica dei social, di affidare le iniziative, le riflessioni, i giudizi, alla diretta Facebook. Significa confrontarsi con i parlamentari nel parlamento, con i ministri a Palazzo Chigi, con i militanti nelle sedi di partito. Cambiare politica significa porre al centro l'uomo e non l’economia, i Parlamenti e non governi, i diritti delle persone e non le compatibilità finanziarie, i problemi della gente e non la conservazione del potere.

 Occorre scegliere tra salute e sviluppo economico. Occorre finirla con iniziative per il rilancio dell’economia, scollegate da ogni previsioni sui loro effetti sanitari.

Non si gioca con la vita della gente, senza assumersi le responsabilità degli effetti delle proprie scelte sul picco dei contagi, sull’incremento di malati con necessità di terapia intensiva. 

Occorre avviare un’azione coordinata globale, un piano preciso con date e modalità, scadenze in grado di affrontare queste sfide. Non si può rilanciare l’economia con un'azione improvvisata perché la gente non ne può più. Non si può rilanciare l’economia tornare alle nostre abitudini, alle nostre libertà, perché si fanno quattrini e consensi, e se poi la gente muore poco importa.

Si può e si deve definire un’ordinata ripresa delle attività, che tenga conto dell’andamento dell’epidemia a livello di contagi e guarigioni. Ma tutto cio non puo avvenire a “spizzichi e bocconi”, inseguendo la realtà o il pragmatismo deteriore che conserva “lo status quo “ cristallizza i poteri i privilegi e le disuguaglianza esistenti, ma nel quadro di una programmazione secondo i criteri della sicurezza sanitaria in coerenza con il processo di globalizzazione in atto, di cui il coronavirus è la più evidente espressione e conferma.

Ma questa azione non può essere fondata sull'iniziativa economica privata, perché la libertà di azione ad ogni costo, postulata dal liberismo, mal si accorda con il coordinamento, i vincoli e la programmazione.

Occorre un sistema decisionale molto diverso da quello attuale. Un sistema fondato sul  ruolo preminente dello Stato, che insegue l’interesse della collettività e non l'interesse proprio. Non può essere il sistema imprenditoriale privato che privilegia gli interessi degli affari rispetto al bene pubblico. Occorre costruire una nuova normalità perché quella che viviamo, è il prodotto di questo modello di sviluppo che subordina la salute allo sviluppo economico, i diritti globali al capitale globale.

Non può essere il privato a costruire una nuova austerità in cui il consumo è una necessità e non uno spreco, la moneta di scambio non sono i soldi ma il tempo della vita che è servito per guadagnarli, un tempo che è la misura della libertà di ciascuno. Non può essere il privato a realizzare un nuovo modello di sviluppo che postula un ripensamento sul ruolo dei governi che non possono più limitarsi a correggere i fallimenti del mercato, ma impegnarsi a formare e creare mercati che garantiscano una crescita sostenibile con imprese che perseguono interessi pubblici e non profitti.

Un modello che consideri prioritaria la salute sull'economia e stabilisca un rapporto sinergico tra le misure per la sicurezza sanitaria e quelle per lo sviluppo economico.

Foto di David Mark da Pixabay 

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