Sgarbi si candida a sindaco di Padova «Poi tratto e faccio l’assessore»
Dopo Milano e Salemi, dov’è attualmente sindaco, Vittorio Sgarbi vuole aggiungere un altro tassello alla sua carriera politica, la candidatura a sindaco di Padova.
Il critico d’arte ferrarese, infatti, ha voglia di tornare protagonista nella città del santo che, durante la giunta Destro, lo aveva già conosciuto come consulente. Dopo essere passato dal Partito Comunista a Forza Italia, dall’UDC alla Lista Pannella, dalla DC-MSI al PDL, ora si candida a sindaco con un “cartello elettorale” comprendente il Partito dei pensionati, Democrazia centrista, la lista civica L’Altra Padova ed Adolfo Cappelli dell’associazione degli automobilisti.
L’idea del sindaco di Salemi, per sua stessa ammissione, è quella di «seguire il modello delle ultime elezioni milanesi», in cui si è «presentato con una lista civica che si è incuneata tra la Moratti e Ferrante». Al ballottaggio ha poi trattato con il centrodestra e da lì è diventato assessore alla Cultura.
A coloro che iniziano a sollevare dubbi sull’incompatibilità tra la carica di sindaco della città siciliana e l’ipotetico assessorato alla Cultura nella città del santo, Sgarbi ha già risposto chiaramente che «i sindaci vengono eletti, mentre gli assessori nominati», quindi, secondo lui, non esiste incompatibilità.
Il critico d’arte, che paradossalmente molto spesso è allergico alle critiche che gli vengono mosse, ha inoltre affermato che «per essere realisti, puntiamo ad un risultato che va dal 3 al 6%».
Per aspirare a ciò, però, il primo cittadino di Salemi, deve sperare che, come troppo spesso accade per i reati, alcune sue dichiarazioni sull’elettorato veneto siano “entrate in prescrizione” nella mente dei cittadini padovani.
Nel 1996, infatti, dopo la sconfitta alle elezioni nella circoscrizione del veneto, Vittorio Sgarbi, con il suo solito bon ton affermò che gli elettori veneti «sono dei deficienti. Egoisti. Stronzi. Destrorsi. Unti. Razzisti. Evasori. Hanno scelto la Lega? Complimenti. Risultato: si ritrovano a essere governati dai meridionali democristiani e dai comunisti. Voglio fare un’Antilega al Sud, incitando i meridionali a non comprare più prodotti veneti. Questi qui ormai coltivano il razzismo puro. Questa gente non è stupida. È peggio: ignorante e plebea. Il concetto di fondo è: questi elettori sono tutti delle teste di cazzo».
E’ probabile che il critico, 13 anni dopo e grazie alla decisione di tentare questa nuova avventura, abbia cambiato idea, ed in tal caso sta a lui affermarlo, sicuramente però, è difficile che l’elettorato veneto, leggendo i procedimenti giudiziari a carico di Sgarbi, possa cambiare idea sul suo conto.
Per rinfrescarci la memoria ci può venire in aiuto wikipedia:
- Il 7 aprile 1995 lesse al TG5 una lettera sui «veri colpevoli» dell’assassinio di Don Pino Puglisi, non rilevando le generalità essendo priva di firma ma attribuita ad un sedicente amico del sacerdote assassinato; la missiva accusava come mandante il procuratore Caselli e come killer Leoluca Orlando. «Fui più volte contattato da Caselli e dai suoi uomini [...] pretendevano accuse, nomi, circostanze... volevano che denunciassi la mia gente e miei ragazzi... che rivelassi cose apprese in confessione [...]. Caselli disprezza i siciliani, mi vuole obbligare a rinnegare i miei voti e la mia veste, pretende che mi prostituisca a lui. Più che nemico della mafia, è un nemico della Sicilia. Orlando è un mafioso vestito da gesuita [...]. Caselli ha fatto di me consapevolmente un sicuro bersaglio. Avrà raggiunto il suo scopo quando un prete impegnato nel sociale verrà ucciso [...]. Caselli, per aumentare il suo potere, ha avuto la sua vittima illustre.» Per queste dichiarazioni Sgarbi è stato condannato per diffamazione in primo e secondo grado, ma è intervenuta la prescrizione prima della sentenza di Cassazione.
- Nel 1996, con sentenza definitiva della Pretura di Venezia, è stato condannato a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato di falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi e assenteismo mentre era dipendente del Ministero dei Beni culturali, con la qualifica di funzionario ai Beni artistici e culturali del Veneto. Condannato a pagare un indennizzo fissato dalla corte, il critico d’arte si giustificò affermando che la sua assenza dall’ufficio dipendeva dall’impegno per la redazione d’un catalogo d’arte.
- Il 14 agosto 1998, dopo la morte di Luigi Lombardini, in un’intervista a Il Giornale ne attribuisce la responsabilità alle «inchieste politiche di Caselli [...] uomo di Violante», in quanto «il suicido di Lombardini ha evidenziato la natura esclusivamente politica dell’azione di Caselli e i suoi» che «impudentemente frugano nella sua tomba [...] sul suo cadavere»; il 17 agosto, ignorando i ringraziamenti dell’avvocato di Lombardini per la correttezza tenuta da Caselli nella conduzione dell’interrogatorio nonché il positivo pronunciamento del CSM in merito, ne chiede «l’immediato arresto» nonché la «sospensione dal servizio e dallo stipendio». Alla successiva querela, l’intervistatore Renato Farina ed il direttore Mario Cervi scelgono il patteggiamento, mentre Sgarbi la via del processo; ad una delle udienze «non si presenta in Tribunale (a Desio) dicendo di essere a Bologna per un altro processo; il giudice telefona a Bologna e scopre che lì Sgarbi ha fatto lo stesso sostenendo di essere a Desio». Per queste affermazioni nel 1998 verrà condannato dalla Cassazione per diffamazione aggravata sulle indagini del pool antimafia di Palermo, guidato da Gian Carlo Caselli, oltre a 1.000 € di multa.
Vi è chi, di fronte a questo pronunciamento, ha sostenuto che la condanna sarebbe occorsa per aver Sgarbi definito le indagini "politiche", esercitando il proprio diritto di critica (Francesco Cossiga, Ettore Randazzo, Fabrizio Cicchitto e Niccolò Ghedini). Questa ricostruzione è stata contestata da Marco Travaglio, per il quale «criticare significa affermare che un’inchiesta è infondata, una sentenza è sbagliata. Ma sostenere che un PM e l’intera sua Procura sono al servizio di un partito, agiscono per finalità politiche, usano la mafia contro lo stato, non è criticare: è attribuire una serie di reati gravissimi, i più gravi che possa commettere un magistrato».
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