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Secessione: parlano chiaro Napolitano e la Costituzione

“Non esiste un via democratica ad uno stato lombardo-veneto”, ha detto venerdì a Napoli il Presidente della Repubblica,  affermando che, se gli slogan della Lega dovessero diventare altro, lo Stato non esiterebbe ad intervenire come già fece, agli albori del ritorno alla democrazia, nei confronti dell’indipendentismo siciliano.

Ha parlato in modo chiaro, Giorgio Napolitano, ricordando anche che, se il primo articolo della costituzione  dice che il popolo è sovrano, precisa anche che questa sovranità va esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Finalmente, viene da dire, un uomo delle Istituzioni ricorda agli italiani la lettera del nostro documento fondamentale; dopo un gran parlare di “costituzione materiale”, si torna a guardare a quel che scrissero i Padri della Repubblica.

Fecero un lavoro straordinario, quegli uomini, espressione del meglio che il nostro paese abbia prodotto nel secolo scorso, e testimonianza della loro grandezza è anche il linguaggio che scelsero per redigere la nostra Costituzione: un italiano cristallino, moderno, scevro d’ogni arcaismo o inutile intellettualismo, infinitamente più comprensibile, anche a sessanta e più anni di distanza, da quello usato nella formulazione di tante leggi ordinarie dello Stato e da quello, vomitevole, spesso usato dalla burocrazia.

Un italiano talmente chiaro da lasciar ben pochi dubbi o possibilità d’interpretazione; da rendere il lavoro dei nostri costituzionalisti, se fatto con onestà intellettuale, semplicissimo.

 L’ articolo 5, tornando ai propositi secessionisti millantati dalla Lega, è lampante: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

Tutta l’autonomia che si vuole alle realtà locali, dice, ma l’Italia è una e non si tocca.

Dovrebbe bastare questo a rendere immediatamente illegale l’operato di organizzazioni volte a minare l’unità del Paese. Il fatto che certi comportamenti della dirigenza leghista siano stati tollerati fino ad ora non ha altre giustificazioni che la codardia della politica e delle istituzioni: un partito dichiaratamente separatista, dentro il nostro parlamento, non ci può stare.

Di più. L’articolo 67 della Costituzione dice: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Ancora un volta non c’è bisogno d’interpretare nulla. Sia quella che sia la sua base elettorale, il parlamentare rappresenta la Nazione e solo gli interessi della Nazione dovrebbe avere in mente durante il proprio mandato. Il suo dovere verso il Paese viene prima di qualunque vincolo, compreso quello di fedeltà al partito.

Come può, dunque,  rispettando la Costituzione, sedere in Parlamento chi, per sua stessa ammissione, rifiuta di rappresentare la Nazione, ma si cura solo degli interessi di una sua parte?

Il discorso non riguarda solo la Lega, ma tutti quei partiti che si fanno portavoce d’interessi speciali;  in questo il Partito dei Pensionati, per dirne uno, o di chi volete voi è altrettanto contrario al dettato costituzionale del movimento di Bossi.

Sono, tutte le possibili leghe, espressione di una concezione medievale del vivere civile, di una visione della politica, ridotta a lotta tra gilde e campanili, lontanissima da quella che avevano in mente i fondatori della nostra democrazia.

Sono un tradimento della lettera, prima ancora che dello spirito, della Costituzione.

Un tradimento che diventa ancor più grave quando a compierlo sono dei ministri della Repubblica che sulla Costituzione hanno giurato solennemente. Su tutta la Costituzione, articolo 5 assolutamente compreso.

Umberto Bossi, quando minaccia la secessione, è dunque uno spergiuro.

Non dice sul serio? Allora, forse, è solo un gran bugiardo.

Un “casciabali”, raccontator di palle, come si dice dalle sue parti.

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