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Rivoluzione Barcellona, trama di gioco e telaio sociale

Il Barcellona non è solo una grande realtà sportiva, ma anche sociale, economica e politica.

"Quando avevo dodici anni, mio padre risparmiò tre mesi per comprarmi delle scarpe da calcio, ora ho molti soldi ma ogni volta che guardo quelle scarpe ricordo da dove sono venuto". Andrès Iniesta parla delle sue origini perché sa che è solo una comparsa del palcoscenico, come Xavi Hernandez e perfino come Lionel Messi.

Il calcio non è sport dove tutti hanno le stesse opportunità di vincere, è spettacolo dove gli attori più talentuosi guadagnano milioni mentre grandi azionisti cercano lo spazio di mercato più conveniente. Di questa giostra si può provare sdegno oppure festeggiare i gol credendo ancora che il gioco più bello del mondo sia autentico.

La polisportiva blaugrana nata nel 1899 persegue una politica innovativa. "Més que un club", nessuno nega uno dei maggiori fatturati al mondo ma pochi possono ignorare un progetto al di sopra di ogni pianificazione calcistica. Tiki-taka per giocare di squadra, cantera per crescere campioni, la masia della Catalogna per coltivare senso d'appartenenza. Sono i campi dove bambini provenienti da tutto il mondo apprendono il sacrificio e il gioco del calcio. La valle sperduta dove una volta Vilanova e Guardiola si spartivano la merenda, dove ieri condividevano la stanza Xavi e Iniesta. "O giocate insieme, l'uno per l'altro, o siete esclusi dalla rosa, non importa se avete otto anni voi siete professionisti e conta solo la vittoria della squadra, del gruppo...".

Messi non è catalano ma è come se lo fosse, a undici anni nessuno poteva pagare le cure per l'Ipopituitarismo che gli negava la gioia di crescere. Un'azione solidale del Barcellona ieri, un lauto guadagno oggi. Quel bimbo dalle gambe corte oggi è solo un calciatore che ha vinto tre Champions League, tre palloni d'oro, una medaglia olimpica ed è l'unico a poter sostenere il paragone con un certo Maradona. Ambasciatore internazionale dell'Unicef Leo Messi sorride quando segna, non deve mostrare malumori per l'aumento del contratto se il premio ottenuto è stata la salute. I miracoli della cantera? Ognuno ha il suo ruolo e sa di quale ingranaggio della squadra fa parte. Cambiano allenatori, presidenti, giocatori, squadra A, squadra B, pulcini, ma il Barcellona continua a vincere...

Non interessano i nomi, conta cosa fanno, sono elementi di una macchina che lavora per la perfezione, si autorigenera e l'unico modo di batterla è rinunciare al gioco chiudendosi davanti alla propria porta. Josè Mourinho, l'eterno rivale, lo ha capito, le piccole squadre pure, la Spagna sa di vivere di rendita, la nazionale iberica è solo una brutta copia della squadra catalana. Nello stadio ufficiale, il Camp Nou, non si fuma dal dicembre 2011, in nessun settore degli spalti. E' l'unica squadra a sostenere una campagna contro la droga e la prima a rifiutare sponsor commerciali. Malumori perfino per il baffo Nike ma quella è una questione politica, l'indipendentismo che si rinforza con i colori della bandiera catalana della seconda maglia, il rosso e il giallo. Con il calcio ora hanno abbastanza forza per rendersi autonomi e liberarsi dalla crisi economica dell'eurozona. Chi immagina un campionato catalano indipendente, il ritiro dalla nazionale spagnola di tutti i canteriani e una Liga senza Barcellona? Sono già marziani sul campo, sono pronti a portare Marte in politica, economia e società. Se questo calcio terrestre merita uno scossone ben lieti di subirlo, soprattutto in Italia.

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