Rita Clementi è la ricercatrice che, pur avendo registrato importanti successi nel suo campo, quello della medicina genetica, ha deciso di lasciare il nostro Paese per lavorare negli Stati Uniti a causa delle difficoltà riscontrate nell’accesso al mondo del lavoro universitario. E questo ha fatto sbattendo la porta: in una lettera al Presidente Napolitano apertis verbisha denunziato il sistema universitario come vergognosamente antimeritocratico, ha rappresentato la sua intenzione di abbandonare in maniera integrale la nostra collettività nazionale rinunziando alla cittadinanza italiana ed ha auspicato per i propri figli nel nuovo Paese una vita migliore rispetto a quella che ha consentito lo Stato italiano alla madre.
Francamente la dottoressa Rita Clementi non è un caso raro in una situazione di generale serenità: forse la maggior parte dei cittadini italiani, ovviamente ciascuno per le sue proprie ragioni, la pensa proprio come lei. E, magari, la scelta di andar via l’ha già fatta.
Ciò vale soprattutto nel Meridione, dove, come ha recentemente asserito il Governatore Raffaele Lombardo in tema di formazione professionale, in Sicilia nessuno ha mai trovato lavoro grazie all’attività di formazione. Ed ogni padre affettuoso che si rispetti fa studiare altrove i propri figli e lo annunzia con orgoglio coram populo. Egualmente alcuni genitori di bambini disabili, per poterli assistere adeguatamente, si sono trasferiti in Trentino, dove le Istituzioni funzionano. Vi sono anche imprenditori meridionali, che hanno capito di dover trasferire altrove la propria attività, magari sempre in Trentino, dove si può contare sulla Procura gestita dal dottor Cuno Jacob Tarfusser in maniera decisamente diversa dalle altre. Per non parlare poi di chi, come il professore Adolfo Parmaliana di Vigliatore Terme in provincia di Messina, non ce l’ha fatta ed ha scelto di non proseguire altre.
Quanto alla scelta della dottoressa Clementi di non andare via in silenzio, ma di fartestimonianza, non può che essere ammirata, ripresa e mantenuta da chiunque sia in grado di farlo (per questo il vostro reporter ne parla).
Ma non basta: bisogna affrontare l’argomento in maniera scientifica, ricercando, come diceva Aristotele, i principi e le cause di quella realtà che si intende studiare (Metafisica,XI, 7-8). E la causa di tutto quanto sopra ha la denominazione di conflitto di interessi.
Chiariamo subito che le vicende personali dell’attuale premier poco hanno a che vedere con il problema. Si ha conflitto di interessi quando un soggetto, nell’esprimere un giudizio o una valutazione (non necessariamente giudiziari ma anche genericamente di gestione) non ha, rispetto alle due parti contrapposte, la necessaria terzietà, ossia quella che, in termini giuridici germanici, è detta «eguale accezione».
Il mondo universitario del nostro Paese è stravolto e posto in una crisi violenta ed inarrestabile da giudizi emessi in favore di parentati (ivi comprendendovi anche casi di convivenza sentimentale non legittimati dal vincolo del matrimonio); nel Meridione l’accesso al lavoro pubblico in generale e la carriera in esso sono apertamente violentati da giudizi di natura clientelare, così come in generale il buon funzionamento delle Istituzioni; e dovremmo essere tutti consapevoli che la classe politica meridionale è selezionata con criteri di natura clientelare. Con quest’ultima asserzione non si vuol entrare nel merito della qualità umane e politiche della classe politica espressa dal Meridione, ma solamente testimoniare che il criterio prevalente con cui essa viene selezionata è quello del voto clientelare.
Cosa aspetta il Parlamento a legiferare imponendo, ad esempio, che chi vuol applicarsi alla Medicina del Lavoro non lo possa fare nella Clinica Universitaria diretta dal padre? Cosa aspetta il Parlamento a stabilire che la moglie di chi lavora in un pubblico ufficio, deve rigorosamente astenersi dall’operare come professionista nello stesso campo e nello stesso ambito territoriale del marito? Cosa aspetta il Parlamento ad introdurre criteri di massima trasparenza nella gestione delle risorse umane da parte di tutte le Pubbliche Amministrazioni, nessuna esclusa? E così via.
E’ questa la richiesta che traspare apertamente dalla denunzia della dottoressa Rita Clementi rivolta alla massima Istituzione.
In tutto questo non vi è alcun riferimento al premier; a meno di non voler considerare iniziative di governo poste in essere dal Presidente del Consiglio in favore delle sue aziende (cosa in tanti anni mai accaduta).
Il termine conflitto di interessi è utilizzato in questo caso a sproposito: si intende impropriamente con esso una posizione di vantaggio nell’attività politica dovuta all’influenza sui media e, in generale, a maggiori disponibilità economiche. Questa è cosa diversa dal conflitto di interessi e la confusione di termini finisce per essere un ostacolo all’attività delle forze politiche, opposizione compresa.
Commenti all'articolo
Di Claudio Guerra
(---.---.---.229)1 luglio 2009 18:06
non credo che la soluzione al problema sia di fare leggi nel senso auspicate da Aiello perchè si può arrivare alla conclusione che tutti i cittadini hanno diritti diversi, invece sarebbe auspicabile che il parametro fondamentale che si dovrebbe seguire per il lavoro intellettuale in tutti i campi è la valutazione dei lavori scientifici e pubblicazioni che sono stati fatti.
Di Conte di Montecristo
(---.---.---.230)5 luglio 2009 11:02
Chi scrive l’articolo è egli stesso il nocciolo del problema come la ricercatrice che con arroganza se ne và sbattendo la porta, quando considerano quello che dice uno come Lombardo mi viene proprio da ridere. Cari italiani urlate e lamentatevi finchè volete la mafia è nel vostro dna e nel vostro cervello pensate a curare prima voi stessi invece di insegnare agli altri!!!! )))))))