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Renzi e la nuova sinistra democratica e liberale

Il successo di Renzi è frutto di un percorso a tappe, che si è costruito in due anni, mettendo insieme un consenso, dapprima tra gli iscritti ed i militanti, che erano insofferenti alle inadeguatezze del gruppo dirigente, in seguito l'appoggio mediatico di Repubblica e di gran parte del ceto politico del Pd.

Il dato significatico è che, con la vittoria del sindaco di Firenze, sono stati spazzati via tutti i capi saldi della "vecchia sinistra", ancora presenti e influenti, come i "dalemiani-­bersaniani", che pagano il conto della mancata vittoria alle politiche di febbraio, della gestione pasticciata sull'elezioni del Presidente della Repubblica, ma sopratutto di 20 anni di errori politici e strategici. 

L’errore politico ultimo, di questo gruppo dirigente, è stato presentarsi come i più strenui sostenitori del governo Letta, contro ogni sentire della base del Pd che non ha mai visto di buon occhio le "larghe intese", anche se adesso son diventate un po' più strette... Cuperlo è crollato, nonostante avesse l'appoggio di tutta la vecchia nomenclatura del Pd e del più grosso sindacato italiano, la Cgil. Rispetto alle primarie di un anno fa, nelle quali Renzi si era fermato al 38,2%, Cuperlo raccoglie meno di un terzo del 61,8% ottenuto da Bersani che, pure, lo appoggiava. Questo perchè l'elettorato del Pd non è fatto solo dagli iscritti o dai pensionati che rappresenta la Cgil.
 
Il successo di Renzi apre una pagina nuova anche nella storia della sinistra italiana, rafforzata anche dal buon risultato di Pippo Civati. Le primarie quindi portano in primo piano una generazione nuova, che non è stata cooptata ma si è conquistata sul campo la legittimità. È vero che il Pd aveva già avuto un segretario non ex comunista (Franceschini) e perfino un segretario ex socialista (Epifani), ma la vittoria del sindaco "rottamatore" è quella di un segretario che per la prima volta non è post di niente, nemmeno della Dc. È dunque l’affermazione di una nuova generazione di politici senza l'influenza delle vecchie ideologie, che poco son servite in questi anni. Una generazione slegata dai retaggi culturali del passato perché troppo giovani alla caduta del Muro di Berlino e la fine della Prima Repubblica.
 
Il congresso 2013 ha visto in campo tre diversi gruppi dirigenti, rappresentati da leadership diverse, caratterizzati da differenti culture e prospettive politiche. Questa volta però, il dibattito congressuale ha visto l'approssimarsi di una progressiva legittimazione reciproca, tutt’altro che scontata all’inizio. Anche in questo senso, il 2013 è davvero l’anno zero del Pd. Non solo e non tanto perché viene superata una classe dirigente, ma soprattutto perché il partito ha finalmente fatto propria una cultura del confronto democratico­-liberale, per molti aspetti estranea alla sinistra italiana.
 
C'è da dire che, comunque vada la legislatura, a maggio si vota per le Europee, ed è il primo banco di prova per Renzi, che è chiamato fin da subito a vincere ed anche bene, perché altrimenti sarebbe una doccia gelata sugli entusiasmi
 
Ed è qui che si pone il problema del governo: obiettivamente Renzi ha tutto l’interesse a far cadere il governo Letta, già a gennaio, per andare a votare insieme alle elezioni europee. Ma fare una scelta così significa mettersi contro Napolitano, la Bce, lo stesso Letta, che qualcosa conta nel partito. E poi il Pd che eredita è abbastanza strutturato da impedirgli di fare l’uomo solo al comando. Ma quindi, Renzi si è preso la leadership, ma per fare cosa?
 
Innanzitutto c'è da sottolineare la sua intuizione, che è stata quella di diventare segretario del Partito Democratico, per poi avere la candidatura in automatico a palazzo Chigi nelle prossime elezioni. Questo perchè, dati i precendenti negativi (Governo Prodi 2006), è importante per lastabilità di un possibile governo, che il premier abbia dietro un partito che lo segue. Anche in questo il neo eletto segretario si dimostra attento a non ripetere gli errori del passato, cosa che faceva difetto ai vecchi dirigenti. Ma ora inizia la partita vera! Perché le resistenze al cambiamento saranno fortissime.
 
Tre sfide ora attendono Renzi: il confronto diretto con Letta, la legge elettorale, le prossime
elezioni.
 
Il Premier e il neo segretario si rassicurano a vicenda, su bipolarismo e riforme istituzionali. Ma il presidente del Consiglio vuole chiudere al più presto la finestra elettorale di primavera per arrivare al 2015, mentre il sindaco di Firenze per accontentarlo chiede un impegno forte sul maggioritario. Ora la dirigenza all’interno del Pd è radicalmente cambiata, con l'immediato annuncio dei responsabili della nuova segreteria, e Letta non può che prenderne atto. 
 
Forzature come quella avvenuta per il caso Cancellieri non saranno più ripetibili per una semplice questione numerica, prima ancora che di linea politica. Le decisioni da oggi le prende Renzi e questo potrebbe significare l’inizio della fine per Letta e il suo governo con Alfano
 
Sarebbe infatti sufficiente forzare la mano su alcuni punti nevralgici (per esempio la ha promesso ieri 1 miliardo di euro di tagli ai costi della politica, ad esempio) per spingere il Presidente del Consiglio a riconoscere l’impossibilità di continuare sulla strada intrapresa lo scorso aprile, porre fine a questa esperienza di governo e andare a elezioni. 
 
In questo scenario l’unica scialuppa di salvataggio per Letta potrebbe essere, il condizionale è d’obbligo, la semi impossibilità di poter votare con una legge elettorale quasi del tutto mutilata dalla sentenza della Corte Costituzionale.
 
Da qui la seconda sfida da superare per Renzi, che è un duro scoglio posto involontariamente dalla Corte Costituzionale, con una (discutibile) sentenza che ha imposto il ritorno a un sistema elettorale puramente proporzionale (addirittura con le preferenze in circoscrizioni enormi), facendo tabula rasa di 20 anni di bipolarismo. E in Parlamento sono già apparse varie strumentalizzazioni, assecondate dall’incapacità dei partiti, dopo diversi anni di annunci, di cambiare la legge elettorale. Quello che serve, e anche in fretta, è una legge elettorale chiara, senza strani cavilli e con la reintroduzione delle preferenze. Renzi ha ora i numeri, nel partito e in Parlamento, per riuscirci ma non sarà facile. 
 
Terza ed ultima sfida sarà il doppio confronto elettorale, Europee a maggio 2014 e politiche una volta terminata questa fase di governo, nel quale si troverà per la prima volta a guidare un partito e non una corrente. 
 
Renzi ha citato Beppe Grillo e il suo movimento politico subito dopo la parte iniziale dei ringraziamenti all'Assemblea, segno evidente che il principale avversario del Pd sarà il M5S prima ancora che il centro­destra. Un riconoscimento non da poco: Renzi ha capito infatti che "la slavina" è venuta giù da lì ed è ora quello il primo fronte sul quale si combatterà la battaglia delle urne. 

La domanda è se sarà in grado di capitalizzare il larghissimo consenso che gli elettori hanno affidato nelle sue mani in queste primarie e se saprà convincere anche coloro che in questa tornata non si sono ancora fidati.
 
 

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