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Regolamentare le lobbies: benefici per la democrazia

Esistono, lo sanno tutti, eppure fanno paura come se fossero sette eversive. Perché non regolamentare le lobbies, come già si fa in molti paesi del mondo, e renderle preziose portatrici di interesse nella logica democratica italiana?

Nei sistemi politici contemporanei, hanno acquisito un notevole peso, nell’influenzare i processi decisionali pubblici, i gruppi di pressione, che si pongono come organizzazioni intermediarie tra società e politica. Lo sviluppo dei gruppi di interesse procede parallelo con lo sviluppo della società, sia per una ormai consolidata diversificazione dei bisogni e degli interessi nelle società stesse, sia per l’ampliamento dei diritti di espressione e di associazione che costruiscono una società sempre più multi-plurale.

L’aumento della complessità e il diversificarsi delle articolazioni della società producono lo sviluppo di forme associative che dal sistema sociale cercano, a fianco della rappresentanza politica, di articolare richieste alle autorità politiche, intervenendo, direttamente o indirettamente nelle varie fasi del processo decisionale. Un recente rapporto dell’Agenzia internazionale Trasparency International, identifica tre macro-indicatori per la valutazione dell’impatto dei gruppi di interesse sui processi politici.

Questi sono la trasparenza al pubblico delle relazioni tra politici e lobbisti; la regolamentazione sulla condotta etica degli stessi (in sostanza, la loro integrità morale) e l’apertura del potere pubblico al pluralismo di voci e interessi, quindi una sorta di pari opportunità di accesso, che garantisce la possibilità di esercitare controllo e bilanciamento in un sistema di verifica e valutazione delle decisioni. In base allo stesso rapporto, l’Italia risulta uno dei paesi meno virtuosi d’Europa.

I risultati confermano l’assoluta mancanza dei tre elementi fondamentali (trasparenza, integrità e parità di accesso) generata da una assenza di normative di settore e di un registro nazionale dei lobbisti, che ha favorito uno sviluppo informale e chiuso del fenomeno. Anche il contesto socio-politico e culturale ha sicuramente contribuito a creare un sistema di lobbying ad personam, basato, più che su procedure, contenuti validi e comunicazione persuasiva, su relazioni sociali e personali.

L’opinione pubblica italiana pare oggi insistere più sui rischi che sulle opportunità derivanti dall’emergere di questi gruppi di pressione, non intravedendo nel pluralismo di voci un’autentica conquista della democrazia, ma ritenendolo invece un pericoloso vulnus che porta a deviare, nell’esclusivo interesse privato, strategie e iniziative politiche da un obiettivo che dovrebbe garantire invece, in quanto “pubblico”, positive ricadute per il maggior numero possibile di persone.

Non ritengo che questa semplificazione, che spesso porta a una banalizzazione di un nuovo fattore che concorre alla qualità della democrazia (ma il nostro è il paese che ha un attaccamento morboso per la ricerca delle trame oscure e dei complotti), sia adeguata a esprimere invece uno slancio e una prospettiva di crescita anche dell’efficacia della governance degli apparati pubblici. I gruppi di interesse, infatti, rappresentano anche, come ben evidenziato da molteplici studi, degli elementi imprescindibili per la qualità dei provvedimenti normativi e legislativi che riguardano settori specifici ad alto contenuto tecnico.

Occorre però che anche in Italia l’azione dei gruppi di interesse, come nei paesi più avanzati in cui è ormai prassi consolidata e accettata, venga inquadrata in un sistema di regolamentazione moderno e chiaro. In molti ordinamenti (Stati Uniti, Canada, Israele, Francia, Gran Bretagna ad esempio) si è avvertita, con sfumature profondamente diverse tra loro, la medesima esigenza di rendere conoscibili a tutti chi sono e quali sono i gruppi di pressione, definendo un assetto di regole volte ad assicurare la trasparenza delle decisioni. La trasparenza, quindi, è uno dei cardini per un corretto funzionamento del rapporto tra politica e gruppi di interesse, e ritengo sia auspicabile, in toto, il recepimento delle proposte di Transparency International Italia che raccomandano l’istituzione da parte del Governo di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Il registro dovrà essere obbligatorio, pubblico e rispettare i più elevati standard internazionali di trasparenza e rendicontazione.

Decisi passi avanti vanno fatti anche in ambito di trasparenza del processo legislativo, che garantisca la piena chiarezza e controllabilità delle varie fasi dell’iter delle proposte di legge, specie nei passaggi in Commissione. Sarebbe poi auspicabile che politici e parlamentari rendessero pubblici i dettagli di incontri con lobbisti e gruppi di interesse, così come pubblici dovrebbero essere gli accessi di questi ultimi al parlamento e ai ministeri. A ogni cittadino dovrebbe essere inoltre garantito il libero accesso a ogni informazione pubblica o documento prodotto dalla pubblica amministrazione. Una norma specifica, infine, dovrebbe riguardare l’introduzione di norme specifiche per combattere il conflitto di interessi. Infatti, una tendenza eccessiva al riciclarsi, dopo l’esperienza pubblica, ha portato molti politici a operare come lobbisti.

Solo con l’obbligatoria introduzione di periodi di attesa, e di una specifica regolamentazione, si potrà fare in modo che il rapporto tra politica e gruppi di interesse sia un rapporto virtuoso ed eviti di generare invece un circolo vizioso e un appiattimento su mere logiche particolaristiche votate più a profitti e difesa di interessi che a una qualità e al progresso dei processi e della capacità di governo.

 

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