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Referendum: quale futuro dopo il 4 dicembre

Il No ha vinto, lasciando il fronte contrapposto a meno 20 punti percentuali. Dopo questo trionfo, prevedibile nella direzione ma non nella misura, cosa succederà?

Nei minuti successivi alla comunicazione degli esiti referendari, si sono susseguite le reazioni da parte dei due schieramenti che hanno delineato un quadro con sconfitti ben identificabili, ma vincitori tali solo per una notte.

Lo schieramento del Sì non lascia spazio ad autogiustificazioni: sconfitta completa, senza margine di dubbio; Renzi si è dimesso, come era inevitabile, e domani si riunirà la direzione del PD. Da questa parte l'idea è molto chiara ed unanime.

Sull'altro fronte una linea comune latita come è sempre stato negli ultimi mesi, al di là dell'endorsment per il No e del contrasto al Governo, entrambe battaglie ormai concluse.

Brunetta, per conto di Forza Italia, sostanzialmente se n'è lavato le mani, poiché la maggioranza appartiene sempre al PD e sono loro che devono intervenire. Per la serie, abbiamo vinto, ma le grane lasciamole come sempre ai perdenti.

Il Movimento 5 Stelle, che occupa la sala stampa della Camera dei Deputati per rilanciare il proprio "programma" (non comprendente soluzioni ai problemi di governabilità presenti), ordina le elezioni immediate, con qualsiasi legge elettorale, inclusa quella vigente (l'Italicum, che nella sola Camera li favorisce e che hanno sempre criticato).

Quel che accadrebbe successivamente, se il M5S vincesse alla Camera senza avere i numeri al Senato (praticamente impossibili da raggiungere), non è dato sapersi, l'unica cosa certa è che la possibilità di formare un Governo da soli non l'avrebbero, né sarebbero disposti a formare intese con altre forze politiche, salvo rinnegare clamorosamente quanto detto negli ultimi quattro anni.

Poi c'è Salvini, Lega Nord, che pensa di essere un'alternativa seria alla Sinistra, ma numeri alla mano il suo partito, nelle più rosee previsioni, potrebbe contare su non più del 15%.

Infine Massimo D'Alema, il quale dopo aver remato ancora una volta contro il Leader del suo partito, propone di sedersi tutti ad un tavolo e discutere, un'ipotesi che ci riporta ai vecchi tempi. Tuttavia le altre volte in cui l'ha fatto, non ha prodotto alcuna soluzione ai problemi per cui si era seduto.

 

Alla fine dei conti, mentre è facilmente prevedibile che nell'immediato si formerà un nuovo Governo per sistemare le faccende in sospeso e si tirerà a campare per qualche mese, molto meno incoraggiante appare la situazione sul lungo periodo.

Dopo le imminenti elezioni politiche, che vedranno come sempre il ruolo paritario di un Senato tendenzialmente ad impronta proporzionale, lo scenario che si prospetta è quello di un'assenza di vincitori. L'istanza che ha canalizzato ben venti milioni di elettori, il 60% dei votanti, è sì predominante, ma difetta di un collante che li tenga uniti, ora che l'unico presente è stato sconfitto.

E già questa notte, dopo i primi dati certi sull'esito della consultazione, avevano smesso di essere un 60%, tornando a costituire un 30%, più un 10% e così via, come sarà anche in Parlamento dopo le elezioni.

Dal canto suo lo schieramento sconfitto, che invece è unitario, prevale su queste forze prese singolarmente, ma non ha il consenso per essere vincitore.

Così tra pochi mesi ci ritroveremo nuovamente davanti ad uno "scenario 2013": ancora mandati esplorativi, consultazioni interminabili, e alla fine l'ennesimo Governo di larghe intese (o in alternativa tecnico) contro cui la totalità delle forze politiche aveva tuonato tre anni fa.

 

Con una grande differenza: venti milioni di italiani hanno rigettato la soluzione avanzata, e la probabilità che qualcuno provi a riproporla, anche con qualche modifica, è inevitabilmente esigua.

Siamo nati proporzionali, e moriremo proporzionali. Ma la classe politica del 2016 non è più quella del 1948.

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