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Rapporto debito-Pil: il tesoretto dove lo metto?

Provate a fare un esperimento mentale. Immaginate che il nostro rapporto debito-Pil inizi a calare, perché la crescita del Pil nominale finalmente eccede il costo medio del debito. Sarà un grande momento, il coronamento di un ventennio di sofferenze ed avanzi primari che hanno succhiato la vitalità di questo Paese, senza produrre benefici di alcun tipo, visto che il rapporto d’indebitamento aumentava comunque.

E tuttavia, attenti a quello che desiderate: potrebbe avverarsi. Che accadrà quando il nostro rapporto debito-Pil inizierà a flettere in modo non statisticamente irrilevante? Con tutta probabilità, allora assisteremo al più grande assalto alla diligenza dei conti pubblici che mai si sia prodotto in questo paese di termiti equo-solidali. Ci saranno i dibattiti “seri”, del tipo “meno tasse o più investimenti pubblici?”, come quello che anima la campagna elettorale tedesca in questi mesi. Ma, conoscendo questo patetico Paese, questo tipo di discussioni lascerà rapidamente il posto ad altra, centrata sulla “redistribuzione”, la “lotta al disagio”, “le ricette di Bad Godesberg sul tosare la pecora capitalista senza ucciderla” (che non c’entra una cippa ma permette sempre qualche carriera televisiva o politica al tribunetto di turno, quello che ha letto tanti libri, soprattutto i risvolti di copertina).

Avremo talk televisivi in cui ascolteremo concetti del tipo “il debito pubblico scende, questa è una stretta fiscale neoliberista, un complotto contro le classi popolari!”, ed assimilati. In attesa di quel meraviglioso giorno, per ora facciamo pratica e ci teniamo in forma con gli innumerevoli “tesoretti” che si materializzano nella mente malata dei nostri eletti, dei loro elettori e della classe digerente italiana.

L’ultimo esempio ci è gentilmente fornito dal boom senza precedenti della crescita italiana, quel dirompente 1,5% tendenziale del secondo trimestre che ci fa sognare ad occhi aperti e manda in visibilio alcuni commentatori, il cui reddito dipende in misura determinante dal quantum di ottimismo filogovernativo che riescono a professare e profondere. Un’opportunità per impiegare questo “surplus” di risorse della crescita è il dibattito sull’aumento a 67 anni dell’età pensionabile, per automatismo demografico legato alle attese di vita.

Tutto è cominciato quando a destra e a sinistra si è deciso che si potrebbe rinviare questo prolungamento di età lavorativa (tre mesi) di un paio d’anni, non è chiaro perché o forse sì, visto che in questo paese c’è sempre un’elezione dietro l’angolo. A quel punto, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha dardeggiato che questa “moratoria” costerebbe l’Apocalisse nel lungo periodo, prontamente rintuzzato dai paladini della sovranità parlamentare, tra i quali spicca il noto lobbysta dei pensionati, al secolo Cesare Damiano.

Oggi su Repubblica c’è un’intervista alla segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, che approfitta dell’opportunità per perorare il congelamento dell’aumento di età pensionabile, e si occupa e preoccupa anche di indicare le coperture finanziarie, per mostrare quanto è fiscalmente responsabile:

 

«Intanto le analisi che sono state proposte invece da Cesare Damiano e da Maurizio Sacconi danno proiezioni molto diverse rispetto a quelle dell’Inps. Inoltre la maggiore crescita del Pil, la flessibilità che il nostro governo deve pretendere dalla Ue e un po’ di più di sana lotta all’evasione potrebbero permetterci di trovare maggiori risorse»

Tutto chiaro, no? Usiamo il “tesoretto” del Pil che cresce per finanziare il rinvio per due anni dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile. E se non bastasse usiamo anche la “flessibilità” europea, che non è europea ma è deficit e debito nostro e delle prossime generazioni. Andiamo a pretendere e sbattere i pugni sul tavolo, signora mia. E se neppure questo bastasse, potremo sempre ricorrere alla sana, cara, vecchia “lotta all’evasione” e già che ci siamo anche agli sprechi, ed alle “rubberie“, come amava dire un predecessore della Furlan grande esperto di pensioni, soprattutto della sua. E se neppure questo fosse sufficiente, non scordare mai che occorre “separare l’assistenza dalla previdenza”, come vi direbbe ogni sindacalista mainstream che si rispetti, anche se doveste chiedergli l’ora. E tacere del fatto che, se così davvero andasse, scopriremmo che ci sono intere categorie che percepiscono pensioni che sono semplici regali a carico della fiscalità generale, visto quello che (non) hanno versato.

Perché c’è sempre un tesoretto immaginario dietro l’angolo, pronto ad essere speso per alleviare le sofferenze della popolazione. Ed il giorno in cui il nostro rapporto d’indebitamento dovesse davvero flettere, avremo solo l’imbarazzo della scelta. Preparate la vostra letterina di desideri, e non scordate il trenino elettrico.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di giovanni (---.---.---.122) 21 agosto 2017 19:41

    "aumento a 67 anni dell’età pensionabile, per automatismo demografico legato alle attese di vita."
    Dal 2015 la speranza di vita in Italia è in DIMINUZIONE, e quindi l’automatisimo demografico dovrebbe portare al CALO dell’età pensionabile.
    MA nessuno si aspetta che il signor Semiserio sappia di cosa parla.

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