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Quentin Tarantino: ritratto di un cineasta ‘pop’

Gli appassionati cinefili possono essere distinti in due grandi categorie: da una parte stanno quelli che detestano i film di Quentin Tarantino perché ritengono che essi siano il risultato di un modo deteriore di fare arte, una miscellanea di scopiazzamenti di stili cinematografici diversi, una accozzaglia di situazioni e di scene viste e riviste ispirate al cosiddetto genere dei film di serie B, un catalogo di rappresentazioni filmiche pressoché senza contenuto, oltre che, in definitiva, poco originali; dall’altra si posizionano tutti coloro che per il quasi cinquantenne regista di Knoxville (Tennessee) stravedono e che vedono in lui il vero prodigioso innovatore del cinema americano di questi ultimi due decenni, il genio che lascerà un segno importante nella storia del cinema mondiale. Si accusa il regista americano di essere ‘un ladro di cinema’; così, sostiene Vito Zagarrio, ‘viene considerato, nel bene e nel male, anche Tarantino, un accumulatore di citazioni di cui è divertente e utile scovare gli indizi, un ibridatore di generi e di forme della cultura di massa, dal fumetto alla letteratura pulp, dalla pubblicità al videoclip, dal B movie alle serie TV sino alla volgarizzazione di alcuni classici del cinema d’autore’.[1] Pare non esistano posizioni intermedie: manicheisticamente, tra i registi della più recente generazione, il cineasta del Tennessee viene amato senza riserve oppure criticato ferocemente mentre si respingono le sue opere in blocco.

Ciò è dovuto anche al fatto che il cinema tarantiniano nel corso degli anni ha assunto una connotazione sui generis tale da impedire interpretazioni criticamente strutturate che prendono in considerazione posizioni di apprezzamento e di gradimento intermedie rispetto a quelle predominanti.

Tarantino inizia ad amare il cinema fin da giovanissimo. E’ la separazione dei suoi genitori, tra le altre cose, a determinare la sua passione sfrenata nei confronti della settima arte e il conseguente futuro artistico e professionale del piccolo Quentin; sono infatti i lunghi e solitari pomeriggi passati davanti alla TV che forniranno al regista quei primi rudimenti di narrazione e scenico artistici che anni dopo si ritroveranno saldamente incastonati all’interno della sua peculiare poetica. Sul piano dell’estetica, come si è detto, le influenze artistiche che emergono da una disamina della cinematografia tarantiniana sono molteplici. Godard, Leone, Argento, Hitchcock, il cinema italiano (il western e il cinema, per così dire, ‘minore’), il cinema splatter e quello, tanto in voga fin dall’inizio degli anni Settanta – che, si ricorderà, aveva Bruce Lee come il massimo dei suoi interpreti - che mette in scena la violenza esercitata attraverso le arti marziali.

Il cinema tarantiniano, peraltro, presenta una varietà amplissima di temi sul piano dei contenuti: gli aspetti maggiormente rilevanti della cultura e del vivere degli americani, compresi quelli deteriori che si riferiscono a quanto avviene all’interno delle frange giovanili della popolazione, vengono, nei film di Tarantino, rappresentati non senza corrosiva ironia (esemplari, in questo senso, Pulp Fiction – USA 1994, Grindhouse – USA 2007, l’hitchcockiano The man from Hollywood, quest’ultimo contenuto in Four Rooms, lungometraggio ‘collettivo’ uscito nel 1995).

Quentin Tarantino è il rappresentante più in vista di un modo di fare cinema che rimanda esplicitamente alla pop art, corrente artistica che nasce negli anni Sessanta del secolo scorso per contrapporsi all’intellettualismo eccessivo di altre forme di creatività e che si contamina con la cultura dei mass-media e quella degli oggetti, dei miti e dei linguaggi della moderna società dei consumi.

Se si presta attenzione, non è difficile concludere che ciascuno dei titoli della filmografia tarantiniana appare come la risultante di una serie di elementi formali, narrativo-letterari e di contenuto che riassumono, dandone una idea piuttosto precisa, l’America dei giorni nostri. Cosciente o meno da parte del filmaker americano, è, questa, un’operazione che ha i suoi meriti anche considerando che il tessuto narrativo dei film di Tarantino è accompagnato di volta in volta da momenti di irresistibile comicità e di pungente derisione rispetto alle situazioni e ai tipi ‘antropologici’ che vengono rappresentati all’interno delle sue opere. Il tema del viaggio, associato alla passione sfrenata del cineasta per i motori, si trova ben esplicitato in Grindhouse mentre le abitudini alimentari degli americani trovano spazio un po’ dappertutto, più massicciamente, forse, in Pulp Fiction; la musica, intendendo qui per essa il rock’n’roll, la black music e anche il rock e la song americana più recenti, e il tema razziale reso manifesto anche attraverso il modo di esprimersi (spesso piuttosto colorito) dei protagonisti, si trovano ovunque, all’interno della filmografia del regista. Il gusto della citazione cinematografica e l’ironia incontenibile che caratterizza storie tipicamente americane di gangsters come quelle che si raccontano in Le Iene (USA 1992), Pulp Fiction (dove, come ha osservato Di Giammatteo, Tarantino ‘rifà il verso’, non senza maligna ironia, al cinema che ama’ [2]) e Sin city (con Robert Rodriguez, USA 2005), e lo stravolgimento temporale dei canoni narrativi tradizionali (Jackie Brown, USA 1997, ed entrambi i volumi di Kill Bill, rispettivamente USA 2003 e 2004, tanto per citarne due, costituiscono, in questo senso, un esempio mirabile) costituiscono ulteriori elementi di identificazione dell’opera di Quentin.

Ci sembra di poter concludere che l’operazione di analisi e di rappresentazione filmica dell’american way of life da parte di Tarantino trovi analogie e attendibili equivalenze anche nell’arte di Warhol e di Basquiat e nella letteratura del mai troppo rimpianto David Foster Wallace.



[1] A sostegno di quanto afferma, Zagarrio cita l’articolo di P.D’Agostini, Giù la maschera, Tarantino principe del riciclaggio, pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 1 Giugno del 2007. V.Zagarrio, La grande mall dell’immaginario, in: Quentin Tarantino, a cura di V.Zagarrio, Marsilio, Venezia 2009, p.9. 

[2] Fernaldo Di Giammatteo, Storia del Cinema, Marsilio, 3^ ed. Venezia 2008, p.527.

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