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Piccole storie di ordinaria follia: quelli del call center

Carlo ha già finito gli studi e, praticamente sfaccendato, ha pensato bene di cercare lavoro presso un call center. Certo, la paga non è un granché: due euro l’ora. Il cingalese, che viene a casa sua a far le pulizie, da sua madre, ne piglia sei, oltre regolari contributi INPS. Però, tanto non ci si rimette nulla a provare…

Il call center lavora per una rete di telefonia ed il compito del nostro eroe è quello di convincere sconosciuti utenti a cambiare il proprio operatore. Orsù, cominciamo!

In effetti, però, le cose non stavano proprio così: due euro l’ora, ma a condizione che, nella giornata, Carlo abbia concluso almeno un contratto; e, non essendo affatto facile convincere l’utenza a cambiare operatore, a fine serata rischia di non ottenere nessun compenso. Tutto tempo sprecato.

Chissà se era la stessa cosa per quello sconosciuto dottore in economia e commercio di Ostuni, lanciatosi dal treno in corsa mentre rientrava a casa dall’ennesimo, inutile “viaggio della speranza” a Milano. L’ultimo suo lavoro, chiuso nel dicembre dell’anno passato, era stato proprio un call center.

Cosa dire? Certo, appare strano che siano consentiti rapporti di lavoro di questo tipo: prima o poi vedrete che legalizzeranno la schiavitù!

Il pensiero và ai direttori generali della Regione Sicilia, gente da 200.000 Euro al mese. Non sappiamo se i due euro/ora del call center siano prima o dopo le tasse, ma la differenza non è poi tanta: ogni direttore generale siciliano equivale a 125.000 ore/anno di operatore di call center, euro più, euro meno.

Considerando 40 ore alla settimana per 52 settimane/anno (chissà se per gli operatori di call center sono previste le ferie retribuite?) alla fine un direttore generale “pesa” quanto 62 operatori di call center; euro più, euro meno; operatore più, operatore meno.

E forse dovremmo vergognarci tutti, anche i tanti che sono o stanno per andare in pensione e, come si dice dalle parti del vostro cronista, hanno “la barca all’asciutto”; forse dovremmo vergognarci dell’assoluta assenza di un moto di solidarietà e di vicinanza verso l’infinito numero di giovani, cui è preclusa ogni via per inserirsi nel mondo del lavoro e per dare il loro contributo alla loro comunità di appartenenza. Ed anche per i forse ancor maggiori di numero che hanno salari di vera fame, mentre una ristretta casta di privilegiati, che è riuscita a sistemarsi dietro una poltrona pubblica, vive nell’agiatezza più completa e più soddisfacente.

Piccole storie di ordinaria follia, di un Paese che sembra aver perduto se stesso e tutta la propria dignità.

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