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Perché l’inchiesta del Guardian sul Vaticano non si poteva fare in Italia

La famosa inchiesta del Guardian sull'impero immobiliare segreto che il Vaticano ha messo in piedi con i soldi di Mussolini che hanno ripreso con enfasi tutti i più importanti giornali italiani non sarebbe stata possibile in Italia per tre motivi:

1) È stata fatta dal capo del team investigativo del Guardian, cioè di un gruppo di lavoro a cui è concesso lavorare per settimane o mesi su una specifica storia, grazie soprattutto all'esperienza maturata nell'inchiesta che lo stesso gruppo di lavoro ha fatto mesi fa sui paradisi fiscali insieme ad altre due organizzazioni (BBC Panorma e il Bureau of Investigative Journalism), un lavoro durato mesi: un sistema che in Italia non è quasi nemmeno pensabile per gli editori. 

2) Il capo del team investigativo del Guardian ci ha lavorato con una sua studentessa del corso di studi di giornalismo investigativo che tiene alla City University di Londra, mentre in Italia nelle scuole di giornalismo ci fanno insegnare (anche) ottantenni sotto formalina messi lì in virtù di rendite di posizione nell'Ordine dei Giornalisti a spiegare agli studenti che le fonti principali del giornalismo sono le agenzie e i comunicati stampa. Nessuna - NESSUNA - università italiana né pubblica né privata organizza percorsi formativi comparabili a quello di Leigh che permettano a studenti come Jessica Benhamou di potersi definire "investigative student" (per trovare qualcosa di simile in Italia bisogna rivolgersi ad associazioni private di appassionati, anzi ad un'associazione sola). 

3) L'inchiesta è stata firmata anche da un avvocato-giornalista di Zurigo che non è un reporter del Guardian, ma è stato pagato per svolgere una parte degli approfondimenti investigativi, il che richiede un atteggiamento mentale che in Italia manca del tutto: concepire l'idea che un giornalista si può pagare per fare il giornalista anche se non scrive una riga ma si occupa della ricerca delle informazioni. Che è un lavoro indipendente dalla produzione di un contenuto, ma altrettanto indispensabile. In Italia viene considerato giornalista chi scrive 70 articoli in due anni (che peraltro è impossibile se si lavora sempre come ha fatto il Guardian in questo caso). Quindi se scrivi settanta (o quanti sono) articoletti di tre righe ripresi dalle agenzie anche senza nessuna verifica delle notizie sei un giornalista. Se invece lavori facendo fact-cheking per un giornale oppure indagini per progetti giornalistici che non firmi ma in cui compari come "addetto alle ricerche" o "investigative contributor" no, non lo sei. 

Morale: teniamoci stretto il Guardian. Poi però andiamo dai nostri giornali (quelli a cui siamo abbonati, quelli che compriamo sempre in edicola o che leggiamo fedelmente online) e chiediamo conto del perché non possiamo avere questo tipo di informazione, cioè un'informazione di qualità, anche da loro. E avvertiamoli, per il loro bene, che se sono in crisi forse la colpa non è nostra, che li leggiamo sempre meno, ma loro che, se ci tengono a non sparire del tutto, sono ancora in tempo per iniziare a darci qualche motivo in più per continuare a leggerli.


PS. Al Jazeera sta cercando giornalisti da assumere a tempo pieno. Tra le competenze richieste ai candidati (che possono anche non avere mai lavorato per una redazione tv) ci sono: "fact-checking", "developing sources of information to obtain exclusive information", "safeguarding investigative information" e "safeguard secrets and actively protect sources of information", "initiative to immerse oneself in new subject matters with the determination to become as expert as possible as fast as possible", "working closely and laterally withthe online web staff to develop new methods of displaying content". Cioè tutto quello che le università italiane e le scuole di giornalismo riconosciute dall'Ordine non insegnano. Tenetevi pure il vostro tesserino, grazie.
 

NDR Ripreso dalla redazione da uno status di Federico Pignalberi pubblicato su Facebook"

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