Per un’Italia che non cresce, una cura a base di “Voice”

Il dato lo ha sottolineato di Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi al recente Forex di Verona: da quindici anni l’economia italiana stenta a crescere. E questo ci mette in una situazione di estrema debolezza davanti alle incertezze dell’economia globalizzata, costo dell’energia in primis.
Il dato contiene di per sé una valutazione: il problema della nostra crescita è un problema sistemico, atteso che esso, nel lungo periodo di tempo considerato, è rimasto indifferente ad ogni alternanza dei due poli al governo del Paese. Insomma, destra o sinistra al potere, l’economia del “sistema Italia” arranca e non si sviluppa.
Non bisogna essere economisti (basta essere semplici cittadini) per vedere come il problema della nostra crescita sia sostanzialmente costituito da quella autentica palla al piede che è il Meridione. Basterebbe una sia pur minima svolta nell’andamento dell’economia delle regioni meridionali per ottenere una crescita nazionale paragonabile a quella dei rimanenti Paesi della Comunità Europea.
Così pensando, però, il problema non lo si risolve, lo si sposta solamente a monte. Per risolvere il problema della staticità dell’economia italiana occorre portare ad una qualche soluzione la Questione del Meridione, il quale, ad oggi, quello che riesce a produce in gran copia è emigrazione. E non è neanche facile indicare rimedi e soluzioni : da circa centocinquanta anni, ossia dall’unità d’Italia, è questo il nostro irrisolto problema dei problemi.
Al riguardo la prima cosa da dire è che non è certamente un problema di risorse; o meglio non è un problema di quantità di risorse da impiegare, bensì al massimo può essere un problema di modalità di utilizzo delle risorse rese disponibili. Questo ce lo dimostrano decenni di piani su piani per il Sud, gonfi di finanziamenti e totalmente fallimentari negli effetti. E, sicuramente, occorre andare oltre l’impiego di risorse.
Un altro aspetto del problema è se debbano essere le popolazioni meridionali a dover trovare e perseguire una soluzione oppure se debbano essere forze esterne le protagoniste. Il ministro Brunetta, ad esempio, è a favore di una nuova Spedizione dei Mille, che veda un’azione esterna innescare e guidare un circuito politico ed economico virtuoso per il Meridione. Qualcun altro spinge più sui temi del federalismo, indicando nella responsabilizzazione della classe politica meridionale la chiave di volta per risolvere il problema.
Sicuramente al riguardo è innegabile che, nelle regioni meridionali come in ogni realtà locale, agiscono contemporaneamente Istituzioni nazionali ed Istituzioni locali. Abbiamo da un lato Prefetture, Forze dell’Ordine, Tribunali, Istituzioni scolastiche, sistemi di trasporto nazionali e così via ; e dall’altro Amministrazioni locali, servizi di trasporti locali, aziende per l’erogazione dell’acqua, Enti per la raccolta ed il trattamento di rifiuti solidi urbani e così via. E non è tanto facile tagliare con un colpo netto i due settori e separare l’uno dall’altro. Questo induce a ritenere che una soluzione non possa non interessarli entrambi.
Quel che è certo è che un cambiamento si impone e va ricercato.
In tema di cambiamento ci possono venire in aiuto le teorie di Albert Hirschman, il quale ha dimostrato che, per migliorare il contesto sociale in cui si vive e per porre rimedio anche a discrasie ed a malfunzionamenti di quella che Rawls chiama la struttura di base della società, si hanno due opzioni, e precisamente: quella exit, che consiste nel cambiare la particolare struttura di base cui ci si rivolge (ad esempio come fanno tanti che lasciano il Meridione e si trasferiscono al Nord) e quella voice, che consiste nel protestare pubblicamente per far si che il management della struttura di base mal funzionante intervenga nel suo funzionamento apportando i miglioramenti opportuni.
Forse occorrerebbe correggere Hirschman aggiungendo una terza opzione, che il professore dalla sua scrivania alla Stanford University non poteva vedere, l’opzione quit ossia silenzio ! (con il punto esclamativo dell’imperativo). Questa opzione la si attua quando si accetta supinamente l’ingiustizia e si rinunzia al cambiamento, come accade nella realtà meridionale tutti i santi giorni, infinite volte. E questo accade perché il potere, nel Meridione, come ha scritto Leonardo Sciascia nel suo capolavoro Il contesto, «è un potere che sempre più degrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo dire mafiosa»; e, lungi dal correggere la sua governance a seguito del sollecito di una voce di protesta, reagisce subito e con la massima violenza ed efficacia per farla tacere, questa voce. Così ha fatto con don Pino Puglisi, il parroco del quartiere Brancaccio di Palermo; così ha fatto con il professore Adolfo Parmaliana, il sognatore di Vigliatore Terme di una società meridionale giusta; così ha fatto con l’avvocato Ugo Colonna, che, rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame dopo nove giorni di reclusione, ormai da tempo non vive più al Sud; così ha fatto e così farà ancora sino a che riuscirà far tacere ogni voce di dissidenza. Qualcosa del genere lo faceva il fascismo durante l’ultimo conflitto, quando bastava qualche espressione di disappunto contro la guerra detta sull’autobus per ritrovarsi, con l’etichetta di disfattista, a bere una sana razione di olio di ricino.
A ben guardare il Meridione, vera causa dello stallo dell’economia italiana indicata da Mario Draghi, avrebbe bisogno di una cura da cavallo di Voice e di un antidoto assoluto contro la terza opzione, quella quit.
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