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Pdl e Lega: un’alleanza al capolinea?

Non si parlano, non si capiscono ma sopratutto non cenano più insieme come succedeva un tempo tutti i lunedì ad Arcore. 

Il Cavaliere ed il Senatur mai come oggi sono tanto distanti e su posizioni diverse. Tra loro regna l’incomunicabilità totale. Uno non vuole toccare le pensioni, l’altro vorrebbe sopprimere il contributo di solidarietà, uno vorrebbe abolire le province, l’altro le vorrebbe mantenere tutte, uno vorrebbe una patrimoniale sul lusso, l’altro non ne vuole nemmeno sentir parlare.

Si dice che quando ieri Berlusconi ha chiamato Bossi per sincerarsi delle sue condizioni di salute dopo la caduta domestica che gli ha provocato la frattura del polso, il Premier abbia potuto parlare per pochi minuti solo con il figlio Renzo perché il Senatur stava riposando. Vai a capire se era vero, oppure semplicemente Umberto non voleva parlarlare con Silvio.

Si sa la politica italiana è condizionata dalle bizze di Bossi, dalle sue intemperanze e dalla capacità di Berlusconi di farlo ragionare, di portarlo a più miti consigli.

Fino ad adesso l’allenza tra Pdl e Lega si è fondata su un rapporto personale tra i due leader. Un rapporto intenso volto al rispetto dei reciproci interessi.

Da un lato Bossi garantiva la copertura ai provvedimenti cari al Cavaliere sui temi della giustizia, della salvaguardia delle sue aziende e dei suoi affari, e dall’altra Berlusconi supportava forse inconsapevolmente il disegno leghista di una secessione silenziosa fra nord e sud del paese, come è sancito nel primo articolo dello statuto leghista.

Questo schema è durato a lungo, mentre ora qualcosa si è rotto. I fattori della distanza tra i due uomini sono molteplici e si ripercuotono sui movimenti che guidano.

Berlusconi ha visto la sua immagine di leader carismatico intaccata dai vari scandali sessuali e dalle molteplici inchieste giudiziare, ha calcato troppo la mano sulla sua concezione di garantismo, determinando una reazione di rigetto nell’opinione pubblica e tra i suoi stessi alleati. Di conseguenza il berlusconismo ha ridotto la sua capacità di attrarre consensi soprattutto nelle ultime tornate elettorali, perdendo molto del suo appeal.

La crisi economica e la successiva manovra finanziaria hanno fatto il resto. Berlusconi non è più in grado di rassicuare il paese (e di conseguenza i mercati), non è in grado di guardare fino in fondo la realtà delle cose. Per questo 24 ore dopo il varo del decreto governativo con le misure anticrisi ha deciso di modificare il provvedimento durante il passaggio in Parlamento.

Dinanzi alla disastrosa situazione economica, la cruda realtà è che i due leaders si sono divisi, immobilizando il paese. Da una parte il Presidente del Consiglio ed il suo successore in pectore Alfano (a cui la Lega non riconosce alcun ruolo) dall’altra Bossi e Calderoli che cercano di divincolarsi dall’allenza di centrodestra per portare il proprio movimento su altri approdi.

In mezzo un Ministro dell’Economica che non è né troppo leghista né abbastanza del pdl per essere efficace. Attaccato da più parti, sull’orlo delle dimissioni, cerca di salvare la faccia e se può la credibilità dell’Italia.

A questo spettacolo assistono come pubblico vociante i due partiti di maggioranza divisi al loro interno tra minaccie di rottura, proposte di cambiamento e inviti alla responsabilità. È questo il triste epilogo di un’alleanza e di due ex capopopolo al capolinea.

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