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Paranoia italiana

Paranoia italiana

Dal greco παράνοus = fuori dalla mente, è una forma di psicosi che porta a vedere ombre, a far ipotesi sulla realtà e ad assumerle per vere senza che lo siano; come quella di Trelkovski, l’inquilino del terzo piano di Roman Polanski. Dovrebbe essere accettata come malattia da rischio professionale per chiunque ,e a qualsiasi titolo, si occupi delle vicende del nostro Paese perché, dal dopoguerra in avanti, i fatti in Italia viaggiano sempre su due binari paralleli: quello dell’apparire e quello dell’essere. Per interpretarli è inevitabile ricorrere alla dietrologia ed alla loro ricostruzione oltre la «messa in scena», correndo così il rischio di finire in paranoia.
 
Al momento, l’ultima serie di eventi in grado di scatenare la malattia sono le stragi di mafia degli anni ’92 e del ’93. L’avvio al fenomeno lo hanno dato le rivelazioni di Massimo Ciancimino. Suo padre, Vito, fu un democristiano dai mille legami con soggetti di ogni tipo, ivi compreso un certo signor Franco, vicino ai servizi segreti sui drammatici fatti di mafia di quegli anni.
 
Dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, a rincarare la dose, c’è stata la deposizione dell’ex ministro Martelli, in merito alla trattativa tra Stato e mafia; recentemente poi un’intervista con Pier Luigi Vigna, ci ha fatto sapere dei brutti momenti passati dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, quando, a fine luglio del 1993, disse apertis verbis al Parlamento: «è contro questa concreta prospettiva di uno Stato rinnovato che si è scatenata una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune». Insomma, a distanza di quasi vent’anni, cosa in effetti allora sia successo nel «fuori scena» è tutto da ricavare.
 
La cosa non deve stupire. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale nel nostro Paese si son succedute almeno tre fasi di attività non trasparenti di organismi statali che tutto facevano tranne che contrastare nostri ipotetici nemici, e precisamente:
  1. la fase della guerra fredda che si è protratta sino alla fine degli anni sessanta, quella per intenderci del SIFAR, del generale De Lorenzo e del Piano Solo;
  2. la fase del terrorismo rosso, nero ed indefinibile perché fatto ad arte per dare la colpa all’altra parte, si è protratta sostanzialmente sino alla fine degli anni ottanta, quella per intenderci di Freda e di Ventura, del generale Delfino, della strage dell’Italicus;
  3. la fase della mafia alle prese con il 41 bis si è conclusa con gli arresti dei capi mafia corleonesi, di cui appunto ci parla Massimo Ciancimino.
Se a questo aggiungiamo l’attività dei massoni in affari, ben diversi dai loro colleghi anglosassoni, i «tavoli del potere» per l’assegnazione di pubblici appalti, di carriere e di tanto altro ancora in stile “intervento dello Spirito Santo”, alla fine, nel cercare di capirci qualcosa, non è proprio facile evitare la paranoia.
 
Eppure siamo un Paese che non ha nemici, che vorrebbe vivere in pace, che vorrebbe che, in quel che gli succede, nulla sia deciso a sua insaputa; un Paese dove gli uffici della politica totalitaria di qualsiasi colore hanno da tempo chiuso per fine attività; un Paese dove da tempo ha chiuso i suoi uffici anche Gladio.
 
Forse è giunto il momento di far chiudere anche l’ufficio del signor Franco  e di mandarlo in pensione; di far accendere tutte le luci della trasparenza; di consentire alle forze dell’ordine ed alla magistratura inquirente di fare il proprio lavoro da sole ed in santa pace; di far lo stesso con i giornalisti, che sanno certamente come informare dei fatti la pubblica opinione senza passare tutto il proprio tempo negli uffici giudiziari, dove, in fondo in fondo, non succede nulla; di far diventare finalmente questo Paese una democrazia, a centocinquanta anni dalla sua nascita.
 
In alternativa ci resta solamente la paranoia.

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