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 Home page > Tribuna Libera > Oriana Fallaci: le due facce

Oriana Fallaci: le due facce

Se fosse stata ancora in vita, l’Oriana sapendo di una realizzazione di un film sulla sua vita, sarebbe stata sicuramente contraria, anzi non l’avrebbe permesso. Come non concedeva interviste, non avrebbe mai messo in piazza sé stessa e il suo trascorso privato e professionale.

Perché solo attraverso la sua penna, concedeva di esporsi. E il suo no, categorico avrebbe emesso un assordante grido. Detto ciò, il fascino di una personalità come lei è talmente potente che sarebbe stato impossibile non guardare il film, trasmesso sulla Rai, in due puntate, per capire meglio il suo coraggio, talento e carisma. Anche se questo dovesse allontanarsi e spostare la verità verso un’interpretazione deformata. L’inizio del film è incerto, non si riesce bene a capire che strada voglia prendere. Sembra uno scorrere di brevi cenni di vita che compongono il complesso puzzle. Oriana arriva alla casa natale in Toscana ed invece di una professionista; le mandano una laureanda in giornalismo, con il mito della Fallaci; per aiutarla a sistemare la documentazione che aveva accumulato negli anni. Si vede il suo cinismo, la sua freddezza, che si scioglie in poco tempo, nella volontà di confidare attraverso, foto, registrazioni, il suo vissuto alla ragazza.

Il racconto parte da quando lei ancora molto giovane prestava servizio alla lotta partigiana, con il supporto della sua bicicletta, facendo chilometri per portare i giornali e comunicare delle notizie importanti ai combattenti. La volontà di diventare giornalista, anche se in prima battuta il suo desiderio era di diventare scrittrice, non se ne fa cenno nel film, desiderio che si riaffaccerà non appena potrà permetterselo, con l'arrivo di una tranquillità economica. Era sicuramente un passaggio importante, da non tralasciare. La fama, arriva, senza soffermarsi troppo, sul processo che gli permise di averla. Infatti nel film si fa un salto temporale, per ritrovare Oriana, con un caschetto verde e delle scarpe scamosciate pronta a fare del sano giornalismo in Vietnam, in prima linea, per raccontare la verità sopra ogni altra cosa. La libertà individuale e la determinazione nel rivendicare i fatti così come essi sono, senza velature. Viene messo in risalto come connotato fondamentale della scrittrice, che non si fa intimidire da nessuno, e non si lascia attanagliare dai dubbi neanche riguardo una confessione fatta da un amico, di un trattamento disumano, cui lui stesso era carnefice, riservato ai poveri Viet cong.

Ribadisce che lo scriverà, perché è appunto quella verità inalienabile, di cui tutti devono essere informati. Vittoria Puccini, sembra a tatti convincere, indubbiamente impegnata, come non mai, nel rivestire i panni di questa donna senza pari. Da apprezzare l’obiettività con la quale viene messa in scena la sua storia, e le diverse storie d’amore. Una con il giornalista francese Francois Pelou, che non rinuncerà al suo matrimonio, per Oriana, l’altra con il greco Alekos Panagulis. Egli sarà seviziato per cinque anni in un carcere del regime e finirà con consapevolezza ammazzato dall’autarchia del suo paese, non prima di innamorarsi della dannata Oriana, da cui aspetterà un figlio. Ma non verrà mai alla luce, e darà vita, invece ad uno dei suoi libri più famosi: “Lettera a un bambino mai nato”. Nella seconda parte, ci si focalizza su episodi salienti della sua vita come l’incontro con la società islamica, e il diniego che prova verso la condizione della donna e l’asservimento all’uomo padrone che non concede loro alcun diritto. La leggendaria intervista con Khomeini durante la quale si toglie il chador, rabbiosa e frustrata nei confronti di un capo che non vuole ammettere le sue responsabilità di fronte ad una società ingiusta da lui stesso portata avanti.

Quando si trova nella sua casa in compagna nella sua amata Toscana, a scartabellare i documenti, è già a conoscenza della sua malattia, un cancro subdolo che la sta divorando dall’interno, l’alieno come lo chiamava lei stessa. Dice che non ha paura della morte, perché gli è stata vicina tante volte e che non bisogna nemmeno avere paura di chiamare una cosa per quella che è: come il cancro che si preferisce definirlo, malattia incurabile. Una delle ultime scene sono dedicate all’11 settembre, a quello schianto di due aerei sulle torri gemelle che hanno devastato un’intera città e colpito nel profondo gli Americani e tutto il mondo. Anche un’Oriana che decisa a scrivere un pamphlet riguardo la società islamica e a quella ignara e strisciante sottomissione che prima o poi avrebbe portato, noi Occidentali, sul lastrico di un fallimento, se non ci fossimo impegnati a osteggiarla strenuamente. Una denuncia forte che vuole evidenziare come dobbiamo batterci per fare in modo che sopravviva la società moderna come la intendiamo oggi, e che abbiamo fatto tanto per renderla tale. E intanto lo spettro si avvicinava sempre di più, come un vaticinio, perché oggi la minaccia sembra sempre più concreta. D’improvviso le due facce di un’unica Oriana si scontrano.

Una giovane e piena di vita e l’altra ormai vecchia e malata. A questo punto del film, dal distacco e dal riserbo che si era voluto mantenere nel rispetto di Oriana, si interviene con giudizi sulla decisione di dire tutta la sua verità. Attraverso lo sdoppiamento di Oriana, si vuole tentare di redimere la sua figura. Si innesca un confronto tra le due, la giovane che consiglia l’altra Oriana, oramai reduce di vita, a fare ammenda per l’estremismo delle sue idee, che sembra rimpallare contri quell’estremismo islamico cui essa stessa ha sempre voluto combattere. L’Oriana attempata dice che proprio questo è il privilegio dell’essere anziani, e cioè di poter dire tutto ciò che si pensa. E l’altra le risponde, che è sempre stato così per lei, e che non era stato solo un traguardo recente. Allora mi domando che bisogno c’era di moralizzare ciò in cui lei aveva creduto, e che non era solo il pensiero passeggero, ma una volontà testamentaria del suo grande pensiero stampato bianco su nero con caratteri ben leggibili, che non aveva bisogno di interpellare nessun altro nemmeno la sua coscienza sotto forma di giovinezza, che se l’avesse dovuta o voluta ripulire l’ha saputo solo Dio al suo capezzale. 

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