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Essere vegetariani oggi

Non abbiamo la dimensione reale di come gira il mondo, perché se l’avessimo ci comporteremo di conseguenza. Viene da dire. Quando affrontiamo qualsiasi tipo di discorso che parte da una buona dose di ingiustizia sociale, subordinazione, prevalsa, si dovrebbe arrivare alla soluzione di agire, o quanto meno farsi fautori di una protesta che anche se non viene raccolta dalla maggioranza o non è tanto forte da colpire in modo diretto gli interessati, perlomeno è sintomo di una presa di coscienza.

Questo vale anche per quanto concerne l’essere vegetariani nel nostro secolo, o nella maniera più estrema vegani. Ossia in linea con dei principi morali di cui spesso ci facciamo sostenitori ma che il più delle volte si limita a vane parole. Capita se non di storcere il naso, almeno di pensare come si faccia ad esserlo, rinunciare al cibo a trecentosessanta gradi, come siamo abituati ad intenderlo da sempre, mangiatori onnivori: di carne come di verdure, di legumi e quant’altro. Perché è nel nostro retaggio. Allora guardiamo con diffidenza a chi decide di stravolgere abitudini inveterate. Pensando che non sia salutare per il nostro fisico la rinuncia di tutti quegli alimenti che madre natura ci mette a disposizione. Il discorso in realtà è molto più complesso.

Innanzitutto gli alimenti così come li intendevamo una volta sono oramai un lontano ricordo. Oggi dobbiamo guardarci dall’ingerire tutto ciò che ci capita a tiro, compresa non solo la carne ma che si estende a tutti i tipi di alimenti. Grandi marche, che attraverso delle campagne di marketing ci rifilano prodotti ben confezionati che nascondono insidie e che ci fanno anche ammalare a lungo andare. Senza prendere in causa una marca piuttosto che un’altra: basta leggere la lista degli ingredienti per capire quanto la genuinità propagandata sia solo fumo negli occhi. Li troviamo ogni giorno sugli scaffali dei nostri supermercati e li prendiamo senza farci troppe domande. Sennonché veniamo catturati da notizie che danno risalto ad un determinato problema, come le contaminazioni di terreni da residui tossici su cui vengono piantati ortaggi, partito dalla Terra dei Fuochi e ricondotta in diverse aree, che scatena le nevrosi del momento e che però terminano nel giro di qualche settimana. Il nostro interesse si spegne così come è iniziato. Ma le piante anche se malate, o trattate senza rispetto non hanno la stessa rilevanza degli animali. In genere non siamo predisposti a pensare che la carne che portiamo in tavola, sia stato un essere vivente dotato di zampe, pancia, testa e non ultimo: sentimento. Non che l’uomo sia notevolmente cambiato nel corso degli anni. Prima quel piccolo quantitativo bastava per le piccole comunità che esistevano, oggi sarebbe impossibile soddisfare la domanda sempre più crescente lasciando gli animali in libertà: impensabile, non contemplato.

Una buona politica, equa, sarebbe rinunciare all’avere tutto, subito, per forza. Gestire gli allevamenti in totale rispetto per gli animali e per l’uomo che in ultimo, anche se nasconde la testa sotto la sabbia, viene colpito personalmente quando né sente parlare, ma che purtroppo è il pensiero di un momento che svanisce dopo pochi istanti. Proviamo però a immedesimarci: mucche rinchiuse in recinti stretti, impossibilitate a muoversi, rimpinzate di mangimi che contengono antibiotici, farmaci per scongiurare le malattie causate dallo stress da sovraffollamento, dalla debolezza congenita di questi animali. Le stesse mucche da latte, vengono ingravidate artificialmente, allontanate dai loro piccoli e rinchiuse in capannoni in uno spazio ristretto, munte in continuazione e nel giro di tre mesi, di nuovo, si ricomincia. Hanno un’aspettativa di vita bassa rispetto a quella che avrebbero restando non dico in totale libertà, ma con una visione meno tetra e triste di quella che vivono. Una volta spremute tutte, ed è il caso di dirlo, fino all’ultima goccia, vengono portate diritte al macello. Ma se non vogliamo farlo per un senso di giustizia almeno lo dovremmo fare per la nostra salute. Quegli antibiotici iniettati in dosi sempre più massicce fanno sì che i batteri si adeguino per sopravvivere e diventino più resistenti, e ciò provoca nell’uomo una percentuale alta di insorgenza di tumori. Gli estrogeni presenti in ogni tipo di carne provocano diverse disfunzioni al livello ormonale negli esseri umani.

Un’ altro fenomeno preoccupante è l’utilizzo di molecole anabolizzanti usate per ottenere il massimo rendimento con minor dispendio di energie: gli animali crescono più in fretta e consentono a chi ne fa uso di avere un incidenza sul risparmio e quindi un livello di rendimento molto più alto. Strofinano le mani naturalmente le aziende che mettono a disposizione tali sostanze, che non includono un solo tipo di molecola, ma tante quanti sono gli escamotage per nascondere ai controlli la sostanza stessa. Oggi se ne riescono ad individuare venti ma quelle utilizzate sono oltre ottanta. Quindi viene messa a rischio la salute del cittadino ignaro o quasi dei meccanismi che si celano dietro l’efficiente macchina dell’industria alimentare.

Pensiamo spesso che possiamo contrarre malattie dal contatto diretto con gli animali, come i piccioni ad esempio, niente di più sbagliato. Infatti seguendo delle norme di igiene non potremmo mai infettarci col solo esporsi con un animale in libertà e anche da allevamento. Sono rari i casi. Ci dovremmo invece preoccupare seriamente dall’ingerire delle carni che sono ricettacoli di virus, come nel caso della mucca pazza, per cui si dovevano abbattere capi di bestiame infetti, o anche solo che erano stati nella stesso recinto, per debellare la malattia. La tubercolosi bovina è un altro esempio lampante di come, senza certificati alla mano, ma con una alta probabilità, si possa ricollegare il ceppo virale ad alcune forme di leucemia umana. Negli Stati Uniti infetta annualmente il 20% delle vacche.

L’influenza aviaria, che periodicamente colpisce polli e tacchini negli allevamenti intensivi. Anche per questi, stessa identica sorte che spetta ai bovini: uccisi in massa per evitare che il virus si modifichi saltando l’anello di congiunzione con la specie umana. E poi ci sono le battaglie di associazioni pronte a battersi per questo, che ottengono piccoli traguardi che sommandosi trasformano un minimo questa terribile verità. Non dobbiamo pensare di stare trattando con persone fuori dalla nostra concezione. Anzi quando si incontra un fedele e convinto sostenitore della lotta a questo tipo di battaglia spesso non si riscontra nemmeno disagio degli stessi nel trasferire il loro sentimento di repulsione, a noi che stiamo dall’altra parte della barricata, che ancora non riusciamo a capire l’importanza che richiede tutto ciò. Non stiamo parlando di paranoici indottrinati che ripudiano il piatto da cui hanno mangiato per anni e anni, ma è una scelta in linea con la coerenza di non volere far del male ad un animale anche quando non lo si ha davanti.

Viviamo in una spirale che inghiotte il normale senso comune, per cui non ci domandiamo più cos’è bene e cos’è male. Troppe cose a cui dare retta, non c’è tempo, non ne abbiamo voglia. Facciamo tutto ciò che è indispensabile per condurre un’esistenza comune: alzarsi, lavarsi, lavorare, mangiare, non chiedersi molto di ciò che ci gira intorno. Ma c’è molto di più, bisognerebbe scoperchiare le coscienze. Una ragazza vegetariana, pronta a fare il grande passo di diventare vegana, con un tono di sconfitta, un giorno mi ha detto «Non andare mai in un mattatoio, potresti diventare dall’oggi al domani vegetariana», e non sembrava entusiasta né nell’avere assistito a ciò che avviene in quelle carneficine, né di essere stata quasi costretta a prendere una decisione che non poteva essere disattesa. Non aveva scelta, tutto qui. Non lo aveva rivendicato mettendomi su un piano inferiore, nei suoi occhi avevo solo letto una grande tristezza. Senza volermene fare una colpa di essere una mangiatrice di carne, ma anzi forse sconsigliandomi di provare ciò che aveva smosso in lei, la coscienza, attraverso una visione tanto macabra.

La questione è cruciale, non ci sono mode che tengano per una scelta tanto giusta quanto consapevole. Ci siamo mai veramente chiesti, e fino in fondo, evitando pregiudizi, cos’è che porta un individuo come l’uomo a rinunciare alla carne e a tutti quei sotto prodotti che vengono ricavati dagli stessi animali. Non è come combattere a suon di parole, con inutili demagogismi ma ci si espone in prima persona con una protesta silenziosa, che di certo non cambierà il sentimento che spinge le industrie ad adottare metodi inumani e privi di scrupoli. Molti di noi non sono abbastanza informati, eppure, la scelta di rinunciare anche al latte ha una ragione ben precisa dietro. Persino parlare di tonni; di quelle decimazioni, di quel mare che sta vendendo depredato, razziato, che tra qualche decennio non ce ne sarà più per nessuno; ha un senso.

Perché la sete di cibo non è in linea col rispetto della riproduzione delle specie, che non hanno più il tempo di procreare che subito c’è una rete che strappa via la prole, che avrebbe dovuto crescere, e avrebbe dovuto essa stessa dare alla luce altri individui di quella razza. Che non ha più il tempo di vivere, di fare il suo normale corso: dovrebbero essi stessi trovare un modo di stravolgere i processi alla base di tutto? Cancellare i tempi con le sue pause, il loro armonioso e perfetto concatenarsi. Come l’uomo che sembra non abbia mai avuto la certezza dei processi naturali di cui esso stesso è partecipe. Spesso ci fanno paura le decisioni che tracciano uno spartiacque tra ciò che eravamo e ciò che potremmo diventare.

Il rischio è di provare a essere più sinceri, di non essere più trascinati dalla corrente impetuosa ma contrastarla, avere una presa di posizione, salda. Nessuno di noi dice che è facile, tanto meno chi scrive, ci manca quella spinta che serve a distinguerci come esseri dinamici, pronti ad intervenire recuperando quei principi decaduti che forse però non hanno mai coinvolto tutta la dimensione intera, ma segmenti di un globo che continua a girare nonostante tutto.

 

Foto: David Mac Spadden/Flickr

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