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Oper Opis: ricetta vincente per l’Arte circense al Napoli Teatro Festival

Due giovani sul bordo del proscenio che assorti osservano pezzetti di legno e confabulano sottovoce, poi assemblano questi legnetti o li dispongono sulla scena quasi avessero in mente un puzzle da comporre.

Così Martin Zimmermann e Dimitri De Perrot hanno accolto il pubblico del Napoli Teatro Festival, il 5 e 6 giugno scorsi, all’ex birreria di Miano, in attesa che le poltrone si riempissero e che il loro nuovo spettacolo, Öper Öpis (Qualcuno Qualcosa), messo in scena per la prima volta in Italia, potesse avere inizio. I due registi svizzeri che in ogni produzione tentano di superare le barriere delle convenzioni teatrali, affidano la rappresentazione alla forza evocatrice dell’azione, inventando così un nuovo linguaggio grazie al quale le immagini non vengono richiamate dalle parole ma dal suono e dal movimento del corpo.
 
Il palcoscenico, costituito da una sorta di piattaforma interattiva per il suo movimento basculante, vacilla ad ogni spostamento degli attori-acrobati impegnati nella messa in scena di drammi quotidiani che affliggono, a seconda dei casi, la vita di tutti noi. E così troviamo mimate durante lo spettacolo la sala di una palestra dove gli attrezzi non sono altro che gli attori stessi, messi in movimento dagli altri componenti del gruppo di funamboli, contorsionisti, mimi, ballerini, mentre una coppia si scatena in scenate di gelosia, tra piroette e prese acrobatiche. Numerosi piccoli episodi che degenerano, poi, trasformandosi in atti comici, grotteschi e a volte assurdi. L’interazione tra i cinque acrobati però è spesso sfuggente e porta generalmente ad uno scontro. Infatti, nel tentativo di entrare in sintonia, finiscono per perdere l’equilibrio sotto i piedi.

 
La performance di ispirazione tipicamente circense (presentata quest’inverno al Barbican Theater in occasione del London Mime Festival) ricorre ad una comicità giocata inoltre sulle caratteristiche fisiche dei personaggi: il grande e grosso messo a confronto con il bassino tutto pelle e ossa suscita infatti l’ilarità del pubblico. Le illusioni ottiche invece, lasciano entrare lo spettatore in una condizione di assurda consapevolezza (la piccola acrobata lanciata in aria e spostata da una parte all’altra del palcoscenico come fosse un tronco d’albero si confonde con il cartellone che la raffigura a grandezza naturale; la contorsionista che alla fine dello spettacolo si esibisce anche nei volteggi viene invece sostituita quasi in volo da una sedia, per poi riprendere il suo posto). Le luci però, contribuiscono al successo di questo effetto visivo che stupisce e allo stesso tempo fa sorridere il pubblico incantato.
 
La scena invece è in continuo divenire tra i prolungamenti della piattaforma tramite piccole pedane e gli specchi nascosti al suo interno pronti a cogliere il pubblico di sorpresa e a suscitare uno strano effetto di tridimensionalità. Lo sguardo dello spettatore poi, viene prontamente catturato da varie azioni che si svolgono contemporaneamente, tra cui la pantomima dell’attivissimo De Perrot nei panni del dj, che, al lato del palcoscenico, mixa Strauss, rumori registrati e musica pop. In questo spettacolo dai dialoghi quasi inesistenti, sono i movimenti del corpo e il ballo (dalla break dance ai balletti corali) ad esprimere le emozioni. La sincronia tra musica e gesti, l’elasticità delle acrobate, danno inoltre fluidità ai movimenti.

 
Il principale aspetto messo quindi in evidenza in Öper Öpis è l’instabilità della vita. Dicono infatti i registi: “Gli acrobati che abbiamo scelto sono persone che per il loro lavoro sono saldamente ancorate al suolo. Ecco ciò che ci interessava, costringerli a reinventare se stessi in una scena mobile e insicura, metafora dell’incertezza e dell’insicurezza della nostra vita”. La scenografia si trasforma così in brillante paradigma e trasposizione di questa realtà instabile: la piattaforma inclinata, sorretta unicamente da una pila di libri pronta a muoversi in ogni momento, nasconde inoltre botole dalle quali entra ed esce Zimmerman, lasciando a vista del pubblico anche la parte sottostante il proscenio, un tavolino illuminato dalla debole luce di un neon con altri pezzi di legno in attesa della loro personale entrata in scena.
 
Uno spettacolo, un teatro, in bilico (come il suo palcoscenico) tra comico e grottesco, assurdo e realistico. Un omaggio all’arte circense e alle sue più svariate sfumature. Una parabola sulla vita nella società attuale che con leggerezza lascia allo spettatore la libertà di indagare sul proprio equilibrio interiore.

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