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Oltre la crisi solo con un liberalesimo riformatore

Il dibattito che ha accompagnato le primarie del PD, ha confermato quanto sia più che mai necessaria la nascita di un credibile partito liberal-democratico e, di conseguenza, riformista. Il PdL, infatti, non ha mai dato segno d’esserlo, come Fini e Casini non possono essere davvero considerati tali e, ognuno per ragioni proprie, Lega, IdV, SEL e M5S, non ci tengono a diventarlo.

Non solo. Non è riformista neppure la maggioranza degli iscritti al PD; quella, per intenderci, che si ritrova nella sequela di “un po’”, vero e proprio manifesto di una restaurazione minimalista, infilata da Bersani l’altra sera. Sconta, quella parte dei democratici, la propria storia; l’essere erede di una sinistra rimasta quasi sempre all’opposizione e comunque mai in grado di governare da sola.

Che c’entra? Ma le opposizioni non possono fare, solo influenzare e, soprattutto, impedire che sia fatto. “Difenderemo…” è l'inevitabile inizio dei loro slogan. Sono obbligate ad avere un ruolo di conservazione e, se costrette ad esercitarlo troppo a lungo, si rivelano poi incapaci di svolgerne un altro. Se a questo si aggiunge l’avversione al cambiamento di quell’ampia fetta del suo elettorato che lavora nella pubblica amministrazione, si capisce perché il PD, perlomeno quello di Bersani, abbia un atteggiamento, di fronte alla crisi, nei fatti non troppo diverso da quello del PdL; che come questo ne voglia negare la natura endogena per considerarla una semplice tempesta finanziaria, generatasi in un luogo virtuale chiamato mercato, da cui il nostro sistema potrà uscire senza bisogno d’altro che qualche ritocco.

Non è così. La nostra crisi ha cause strutturali ormai profonde e su cui bisogna intervenire. Non si tratta di inseguire chimere, ma di affrontare uno per uno i problemi che impediscono il nostro sviluppo, con un atteggiamento pragmatico; con spirito, appunto, liberale.

Si tratta di aprire al cambiamento la nostra società, prima ancora che la nostra economia, chiusa in gilde e corporazioni ognuna col proprio referente politico. Si tratta di rompere il rapporto tra politica e spesa pubblica come si è generato a partire dalla fine degli anni settanta: perlomeno da allora, scopo della nostra politica d’ogni colore è stato l’acquisto del consenso a spese delle finanze dello stato. Risorse gigantesche non sono state investite in infrastrutture o utilizzate nella costruzione di uno sociale che è di fatto inesistente (non ci sono aiuti ai giovani e alle famiglie; non c’è edilizia residenziale pubblica come non ci sono borse di studio) ma nella distribuzione, in cambio di voti, di pensioni non meritate e stipendi a cui non corrispondeva alcun lavoro utile. Uno spreco che sta all’origine del nostro debito pubblico e, peggio ancora, della nostra sterminata burocrazia; vale a dire di quello che, con l’intricata ragnatela di norme create per giustificarne l’esistenza, è forse il più importante singolo fattore d’ostacolo alla nostra crescita economica.

Intervenire su questo stato di cose non è più un’opzione: è una necessità vitale. Farlo con la ragionevolezza del buon padre di famiglia, come si sarebbe detto una volta, o con l’accortezza del buon imprenditore, richiede una politica riformista, capace di guardare freddamente alla realtà e disposta a proporre al paese soluzioni che non potranno essere né indolori per tutti né ad effetto immediato. Una politica liberale, questo il termine chiave, non troppo diversa da quella che Mario Monti ha dato segno di voler perseguire, ma che, ostacolato da un Parlamento in larga maggioranza reazionario, non ha davvero potuto avviare.

Di questo si è reso conto quel cinquanta per cento di italiani che continua a considerare Monti degno di fiducia. Questi nostri compatrioti, tanto maturi da resistere alle sirene dei diversi populismi e, nello stesso tempo, capaci di comprendere l’impossibilità del mantenimento dello status quo, sono dei liberali di fatto, e rappresentano la base su cui dovrebbe poter contare un partito che volesse rompere l’equilibrio degli opposti conservatorismi per farsi motore del cambiamento.

Un partito con vocazione maggioritaria? Certamente, ma solo se si guarda ai tempi lunghi. Due considerazioni invitano infatti alla prudenza per l’immediato. La prima, che già prefigura future alleanze, è che molti “montiani” hanno già un partito da cui, bene o male, si sentono rappresentati; ve ne sono anche dentro lo stesso PD, per iniziare, come in quel che adesso è il centro. Non si deve poi far troppo conto sui voti degli indecisi. Tanti non sono tali perché disgustati da una politica che, in sé, non è oggi peggiore di quel che è stata nell’ultimo ventennio; c’è piuttosto da temere che non sappiano per chi votare perché di questi tempi nessuno può proporgli uno dei soliti do ut des.

Sono, quei voti, la mela avvelenata della nostra politica; attrarli significa mettersi nelle condizioni di non poter avviare alcuna riforma. Resti fedele a sé stesso, piuttosto, il partito liberaldemocratico che ancora non c’è. Non cerchi scorciatoie o capi carismatici a cui affidare il proprio messaggio; faccia proposte concrete e avrà i voti di chi vuole davvero cambiare le cose. Sarà il 10% dell’elettorato o forse meno, ma rappresenterà una base solida su cui costruire e comunque abbastanza da poter iniziare ad avere voce in capitolo fin da subito. Abbastanza, soprattutto, e con le giuste alleanze, da poter arrivare al governo: dove non può evitare d’essere chi voglia fare, e non solo proclamare, le riforme.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.165) 3 dicembre 2012 23:19

    Panegirico a Monti. accosta Monti impropiamente a: liberale, riformista; addebita ad altri l’inseguire chimere, mancanza di pragmatismo, gilde e clientele. Eppure il buon Monti, tecnico, fosse stato liberale e riformista ha avuto l’occasione al primo voto di fiducia: l’Italia fallisce, ora riformiamo oppure mi sfiduciate, punto. Addebita al PD un’ampia fetta di elettorato della PA che invece è ampiamente trasversale, atteggiamenti simili fra partiti alleati a sostegno di Monti, una sterminata burocrazia ecc.ecc.che Monti, con la sua riforma ha bloccato al suo posto di lavoro; maturi compatrioti e diversi populismi; praticamente tutti escluso il futuro partito di Monti. Bello studio su come sputtanare tutti (se lo meritano) escluso uno che però liberale e riformista non è:

    Monti, coperto dalla crisi FINANZIARIA, provocata dal "mercato" che non deve essere controllato ne regolato, ha solo e semplicemente continuato l’opera di Tremonti: tagliare tutto ciò che è PUBBLICO, Scuola-Sanità-Pensioni, salvaguardando tutto ciò che è privato compresa la grande evasione ed elusione fiscale, continuando a praticare aumenti a chi già paga e chiamando evasori coloro che pur dichiarando il giusto non hanno i fondi necessari per pagare.

    Sprechi= TUTTI SALVI,

    Debito = in aumento,

    Deficit PIL: previsto 0.6-0,8%, Outlook OCSE 3%

    Se la riforma Fornero è una riforma, io imprenditore le dico, FA RIDERE I POLLI, FARA PIANGERE I SUOI FIGLI SE NE HA.

    Riforma Scuola: tagli, nulla che abbia la benchè minima traccia di RIFORMA LIBERALE, salvaguarda però la scuola privata nei finanziamenti,

    Sanità: tagli, ticket, nel pubblico mentre vengono rinnovati contratti assai onerosi con i privati.

    Innovazione=tagli, Cultura=tagli, Incentivi alla crescita=nessuno - Banche=salve TAV=confermata; Ponte sullo Stretto=confermato; ILVA=decreto ad aziendam,

    Io non capisco tutto, a mio avviso però Monti non fa altro che salvaguardare potentati e classi sociali affossandone altre;Lei si confonde, questo è LIBERISMO E CAPITALISMO COMPASSIONEVOLE. LIBERALE E PROGRESSISTA è altro e di ben altro spessore. I fondamentali sociali sui quali il nostro e la maggior dei Paesi Europei poggiano sono socialdemocratici, altro pilastro del Riformismo.

    E’ l’erosione di questi pilastri che Monti persegue, non altro; non ha però il coraggio e l’onestà per dirlo sinceramente.

    Enzo

     

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