• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Oltre la crisi: darsi degli strumenti per affrontare i mercati

Oltre la crisi: darsi degli strumenti per affrontare i mercati

Il nostro paese dipende, per la sua sopravvivenza, dal commercio con l’estero che rappresenta, tra importazione, esportazioni e servizi, quasi il 60% del suo PIL.

Se a questo si aggiunge che la maggior parte delle nostre aziende esportatrici ha dimensioni medie e piccole, è demenziale che, dopo la chiusura dell’ICE da parte del governo Berlusconi nel 2010, non esista più alcun ente che fornisca ai nostri imprenditori l’appoggio di cui hanno bisogno per entrare in nuovi mercati.

Pochi dubbi sul fatto che l’ICE funzionasse spesso poco e male, specie in determinate sedi provinciali. Nessuno sul fatto che quando si muovono in paesi che non conoscono, le imprese avrebbero bisogno di studi di mercato e di informazioni di carattere legale, fiscale e doganale; anche delle cose più basilari, come interpreti affidabili, l’assistenza di avvocati o la semplice possibilità, mentre studiano l’opportunità di aprire una propria sede,  di potere incontrare i propri potenziali clienti in un ufficio degnamente attrezzato, con a disposizione gli strumenti necessari per poter lavorare e comunicare.

Un ente che si occupasse di queste cose, renderebbe potenzialmente moltissimo, tanto alle imprese quanto al paese e costerebbe pochissimo: l’ICE, per quanto inefficiente (ho visto studi di mercato, peraltro fatti pagare profumatamente, costituti dalle fotocopie delle pagine gialle e uffici in cui nessuno dei due o tre svogliati  presenti parlava l’italiano), dava qualche servizio, forniva un minimo di appoggio, quanto meno un indirizzo di riferimento, e costava solo 110 milioni l’anno.

Affidarsi solo allo spirito d’avventura, o alla disperazione, dei nostri imprenditori non è sufficiente; per quanto coraggiosi possano essere, quando girano il mondo con il campionario in una valigetta 24 ore e conoscendo solo un po’ d’inglese, senza sapere una sola parola delle lingue locali e ignorando praticamente  tutto del paese in cui si trovano, sono nelle condizioni di chi deve affrontare un drago armato solo di un temperino. Che riescano a volte ad uccidere il drago, a strappare un contratto, magari da uno sconosciuto di cui hanno avuto l’indirizzo dall’amico di un amico, ha del miracoloso, ma dobbiamo smettere, come paese, di affidarci ai miracoli.

Idealmente dovrebbe esserci una rappresentanza commerciale italiana perlomeno in ognuna delle grandi città del mondo: dovrebbero essercene decine in Cina e in India e negli altri paesi in cui sta nascendo una nuova borghesia di potenziali consumatori dei nostri prodotti, come nelle nuove aree industriali dove possono esservi i clienti per i nostri macchinari.

Rappresentanze che potrebbero addirittura essere in buona parte pagate con delle provvigioni, in base ai servizi effettivamente resi, senza aggravio o quasi per il bilancio dello stato.

E’ anche su temi come questo, sul modo di favorire le nostre esportazioni, che dovrebbe avvenire il nostro dibattito politico, se la politica è l’arte del possibile e suo scopo è quello di fornire soluzioni. Il fatto che si limiti alle solite polemiche, tra sogni rivoluzionari e ansie restauratrici, dice molto di quanto sia ormai lontana dalla realtà; di quanto, avvolta in una cappa di metafisica, per dare non dire d’aria fritta,  poco si curi anche dei più elementari problemi pratici.

Problemi pratici che a volte potrebbero essere risolti dagli stessi cittadini, se solo accettassero di cambiare un poco, un nulla, i loro atteggiamenti ed il loro modo di pensare. Di questo, in particolare di quel che potrebbero fare le stesse imprese per mettersi in condizione d’affrontare meglio i mercati, vi scriverò nel mio prossimo articolo.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares