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Nucleare, ripartire da quella vittoria

Strano Paese, l’Italia. Dove invece di imparare dagli errori si tende a ripeterli. Successe negli anni Sessanta, nel periodo della nazionalizzazione dell’Enel, nel settore delle grandi opere.

Sarebbe bastata la tragedia del Vajont perché gli italiani iniziassero ad accorgersi che non era possibile pagare “qualsiasi prezzo” sull’altare di un presunto progresso, che poi tanto progresso non era. Strano Paese, davvero, dove la volontà popolare, espressa democraticamente nel 1987 con un regolare refrendum abrogativo, oggi viene negata a colpi di sondaggi demoscopici (anche questi presunti).

L’Italia scelse di uscire fuori dal nucleare, oggi rischia di rientrarci. Quel movimento che in dieci anni smantellò scientificamente l’atomo all’amatriciana oggi si trova costretto a riorganizzarsi. Le televendite dell’atomo sicuro (che più sicuro non si può) sono ripartite. Il nucleare è bello, più glamour di Carla Bruni, più simpatico di Jerry Scotti, più utile di Mike Bongiorno. Sarà da “Chi vuol esser milionario” che apprenderemo quale sia il primo dei siti per le centrali?



«Ahi, ahi, signora Prestigiacomo, lei mi casca su Montalto». Ha proprio detto Montalto la ministra alla stampa? Certo, proprio il sito (occupato ora da un’attempata centrale tradizionale) dove il movimento antinucleare degli anni Ottanta trovò quella sintesi fra comitati locali, mondo scientifico, sinistra, partiti e addirittura pezzi di sindacato che rappresentò una novità assoluta nel panorama ambientalista non solo italiano.

Nasceva a Montalto, durante i blocchi davanti ai cancelli e nelle assemblee universitarie e dei comitati locali, la base dell’ambientalismo scientifico che portò al referendum del 1987. è ovvia la volontà di ripartire da lì: per ragioni logistiche, simboliche, addirittura economiche. A Montalto i nuclearisti italiani si dichiararono sconfitti con la centrale praticamente terminata. Da Montalto ripartono. 

Commenti all'articolo

  • Di Fabio Barbera (---.---.---.82) 5 marzo 2009 17:02
    Fabio Barbera

    Ellekappa oggi su Magazine scriveva: "Per le centrali nucleari la Francia ci darà una mano: ci fornirà persino la chemio.." smiley

    saluti

    Fab

  • Di mabo (---.---.---.239) 5 marzo 2009 22:24

    Il problema è che da allora ad oggi sono cambiate molte cose, e non mi riferisco alla qualità del nucleare ma alla capacità critica che sembra essere scesa a livelli non più sostenibili per un paese che aspira a mantenere livelli di civiltà dignitosi.
    Per ripartire dalla consapevolezza espressa con il referendum è necessaria un’inversione di rotta che sembra non praticabile con gli attuali “equilibri” socio politici
    Un saluto.
    Mauro Bonaccorso
  • Di (---.---.---.210) 15 dicembre 2009 20:45

    L’ 8-9 novembre 1987 si votò in Italia per cinque quesiti referendari: due sulla giustizia e tre sul nucleare.
    Ci sono alcuni motivi da tenere presente nel considerare l’ istituto del referendum, che in occasione del cosiddetto "referendum sul nucleare" (o "referendum antinucleare") non è stato e non poteva essere "nucleare si, nucleare no".

    Il primo motivo è che le uniche risposte possibili alle domande di un referendum sono “si” e “no”; non è possibile dare alternative, cioè fare una scelta diversa. Per esempio, se il referendum mi chiedesse se sono d’accordo ad eliminare (mettiamo) la camera dei deputati, io non potrei rispondere che non voglio la totale eliminazione, ma, supponiamo, semplicemente la riduzione del numero di deputati da 630 a 600; dovrei giocoforza scegliere tra la conservazione dello situazione attuale o la sua abolizione.
    Il secondo motivo è che il referendum è puramente abrogativo (vedi articolo 75 della Costituzione della Repubblica Italiana): cioè, può essere utilizzato soltanto per abolire una legge esistente, e non per proporre una legge nuova. La proposta di una nuova legge di iniziativa popolare può essere presentata se sottoscritta da almeno cinquantamila elettori (art. 71 e 72 della Costituzione), ma dovrà poi comunque seguire l’iter di qualunque altra proposta di legge, cioè essere esaminata da una commissione e poi dalle due camere ed approvata articolo per articolo.
    Il terzo motivo è che il referendum permette non solo l’abrogazione totale, ma anche quella parziale di una legge; ciò significa che di una legge composta di cento articoli è possibile abolirne magari uno solo, il che può rendere un’intera legge praticamente inapplicabile a causa di un solo articolo annullato.
     

    Come detto, contemporaneamente si votò per tre referendum relativi al nucleare. Le tre domande che furono rivolte ai cittadini elettori italiani furono le seguenti (se ne riporta il senso, più che il contenuto esatto):

    1. Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti?
      (la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante "la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento", previste dal 13° comma dell’articolo unico legge 10/1/1983 n.8)
       
    2. Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?
      (la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante "l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi", previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge)
       
    3. Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero?
      (questa norma è contenuta in una legge molto più vecchia, e precisamente la N.856 del 1973, che modificava l’articolo 1 della legge istitutiva dell’ENEL).

    Dunque, all’ atto pratico, con le tre domande si domandava di cancellare alcune disposizioni di legge concepite per rendere più facili e rapidi gli insediamenti energetici: la prima era stata creata per evitare che il sindaco di un piccolo paese di duemila abitanti dove era previsto l’insediamento di una centrale nucleare potesse opporsi ad oltranza, mentre la seconda era la cosiddetta “monetizzazione del rischio” per i comuni che ospitavano impianti di produzione di energia (non necessariamente nucleari, ma anche a carbone).

    Detto questo ricordo a chi e’ ancora scettico nel merito,di valutare questo semplice aspetto:
    Se veramente il referendum aboliva per legge l’uso dell’energia nucleare,per quale motivo all’indomani dei risultati il governo di allora si preoccupo’ di proporre e votare una moratoria di 5 anni sul nucleare??
    Se il nucleare fosse stato abolito per legge lo sarebbe stato sempre punto e basta.

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