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Non solo Berlusconi: vivere senza (l’idea della) morte

"I comportamenti francamente ridicoli di figure della nostra vita pubblica che si ostinano a negarsi i propri anni, appaiono così comprensibili; sono sintomi di un narcisismo patologico che non è solo loro, ma di tutta, o quasi, la nostra società".

Credo sarà compito non facile, per gli studiosi futuri, delineare le caratteristiche salienti di questa nostra epoca. Dibatteranno se sia il caso di considerarci barocchi o neoclassici (e caratteristiche di tutti e due questi atteggiamenti sono facilmente riscontrabili nella nostra cultura); se considerarci eredi dell’età delle luci o continuazione naturale del romanticismo. Su una cosa, però, saranno tutti d’accordo: nel considerare originale, affatto nuovo, il nostro terrore della morte; un’idea che esorcizziamo o rimuoviamo, ma che facciamo di tutto per non affrontare.

Hanno il sapore degli esorcismi le rappresentazioni della morte fornite dalle nostre arti. Sono morti sempre legate a circostanze eccezionali, la sparatoria come la catastrofe naturale, quelle che fanno grondare più sangue da un nostro televisore, in una qualunque serata, che da tutti i santi martiri della più cupa chiesa del seicento spagnolo. Sono morti esotiche che, proprio per questo, tanto tranquillizzano quanto spaventano; le abbia causate il folle pluri-omicida, la catastrofe naturale, meglio in qualche remoto angolo del pianeta, o la malattia rarissima, così improbabili da strappare un sospiro di sollievo: a noi, qualcosa del genere, quasi certamente non toccherà.

La morte “banale”, quella che ogni giorno, per un infarto o semplicemente per vecchiaia, si porta via duemila italiani, è invece accuratamente nascosta. Si confinano i moribondi nelle corsie degli ospedali; si arriva a nascondere i vecchi (la stessa parola vecchio è diventata tabù) nelle case di riposo. I riti funebri sono diventati tanto discreti da far pensare che vi sia, nel morire, qualcosa di vergognoso. Tutto questo è solo un frammento della complessa strategia, individuale e sociale, che abbiamo sviluppato per allontanare la morte dal nostro presente; per relegarla fuori dall’ambito domestico e inscatolarla dentro un futuro tanto remoto da essere oltre il nostro orizzonte.

Cerchiamo di nascondere a noi stessi, prima di tutto, i segni della nostra mortalità; cerchiamo di cancellarli dai nostri volti e dai nostri corpi, così come non lasciamo che nulla, del nostro abbigliamento come del nostro stile di vita, indichi che anche per noi il tempo stia passando; che siamo arrivati al nostro autunno o al nostro inverno.

Cerchiamo di dimenticare d’essere, prima d’ogni altra cosa, prodotti della natura e soggetti alle sue leggi. Ci laviamo e rilaviamo (e le dermatiti da “troppa igiene” sono una delle malattie della nostra epoca) per cancellare ogni remota traccia del nostro odore; mangiamo (e lo fanno soprattutto i giovani, specie negli USA) cibi che non sono più riconoscibili come parti di animali: parallelepipedi, cilindri ed anelli al posto di bistecche e pesci. Siamo arrivati al punto, mi fecero leggere uno studio a riguardo un anno fa, di praticare sesso meno che in passato, perché il corpo della compagna, o del compagno, con le sue piccole imperfezioni, con i suoi fluidi, ci ricorda il nostro essere altro che macchine, che programmi, che byte destinati a sopravvivere indefinitamente.

Forse tutto questo non è che un aspetto della crisi spirituale che stiamo attraversando; una maniera d’illuderci, scartata la speranza di vita eterna offerta dalla religione, che i nostri giorni non siano strettamente limitati.

I comportamenti francamente ridicoli di figure della nostra vita pubblica che si ostinano a negarsi i propri anni, appaiono così comprensibili: sono sintomi di un narcisismo patologico che non è solo loro, ma di tutta, o quasi, la nostra società.

Rappresenta, quel loro volto affogato nei ceroni, la maschera di una tragedia della stupidità; quella di chi non ha saputo sostituire ideali laici a quello della Salvezza. Di chi, e non sono è solo in nostro ex (fortunatamente) presidente del Consiglio a dare quest’impressione, sembra aver fatto della propria vita una lunghissima agonia: ridotto da sempre a vivere solo per vivere, trovando al dolore sempre nuovi anestetici, un poco di più; spaventato dalla morte, e pare un controsenso che si arrivi a tanto mentre trionfano la scienza e la tecnologia, come il più spaventato degli animali.

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