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Morire di carcere. Ancora e ancora

Morire di carcere. Ancora e ancora

Con l’ultimo della serie, un ergastolano di nazionalità straniera ristretto nel carcere milanese di Opera, salgono a venticinque le persone che si sono impiccate nelle carceri italiane nell’anno in corso; in aggiunta sei sono decedute per inalazione di gas; totale trentuno dall’inizio dell’anno.
 
Il sito RistrettiOrizzonti riporta i risultati di uno studio statistico dell’Istituto Nazionale francese di Studi Demografici (Ined), in cui vengono comparati i dati di frequenza di suicidi fra la popolazione detenuta e fra il resto della popolazione. L’Italia è il Paese in cui maggiore è lo scarto tra i suicidi nella popolazione libera e quelli che avvengono nella popolazione detenuta, con un rapporto di uno a nove; in Gran Bretagna detto rapporto diventa di uno a 5, in Francia di uno a tre, in Germania ed in Belgio di uno a 2 ed in Finlandia, addirittura, il tasso di suicidio è lo stesso dentro e fuori dalle carceri.
 
E’ questa la prova provata che le condizioni delle carceri italiane sono assolutamente inaccettabili e che il sovraffollamento, di cui il nostro Paese detiene il record in Europa, comporta in esse condizioni di vita lesive della dignità della persona.
 
Dinanzi a ciò, qualche settimana addietro due ministri del governo hanno cominciato un simpatico “teatrino”, con cui l’uno spiegava perché bisognerebbe concedere ai detenuti di poter usufruire degli arresti domiciliari nell’ultimo anno di detenzione e l’altro, invece, su intransigenti posizioni di law and order, respingeva ogni possibilità di clemenza.
 
Premesso che nessuno sembra disposto a “bersi” la sincerità del “teatrino” (non potevano semplicemente telefonarsi?), resta l’abuso di uno Stato incapace di porre la dignità della persona al centro: se lo facesse, non potrebbe pretendere di applicare pene detentive in strutture fatiscenti ed occupate da un numero di detenuti di molto superiore rispetto alle previsioni.
 
Il problema del sovraffollamento delle carceri è, poi, all’interno del più generale problema del sistema repressivo del nostro Paese (forze dell’ordine, guardie carcerarie, pubblici ministeri, carceri vergognosamente macilente, processi abnormi, esattorie, e così via). Discrasie e malfunzionamenti sono all’ordine del giorno, colpevoli non perseguiti ed innocenti perseguitati sono la prassi, assoluta distanza fra cittadini e Stato la regola assoluta.
 
E la classe politica continua a chiacchierare nei talk show della RAI, del tutto indifferente alla lunga litania dei morti di carcere.

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