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Moda: davvero ci siamo bevuti il cervello?

La moda risulta essere uno dei settori più floridi del nostro sempre più sofferente mercato... eppure le statistiche e la realtà non coincidono. Un fenomeno che necessita di un approfondimento, per salvare una delle principali eccellenze italiane.

Le statistiche dicono che il settore moda è tra quei settori che registrano contrazioni meno incisive. Se ci si rivolge agli imprenditori si scopre che, invece, la crisi sta raggiungendo livelli drammatici. Tra aziende in chiusura e iniziative sbagliate il settore moda si sta scavando la fossa (e non la riveste nemmeno di seta!)

Il 2012 è un anno da dimenticare, almeno per quello che riguarda l’andamento dei nostri mercati, l’economia nazionale e le scelte politiche un po’ affrettate, un po’ scollegate dalla realtà ed un po’ necessarie di un governo tecnico che non si sta rivelando tanto provvidenziale, quanto lo si era auspicato. Il 2013, probabilmente, non sarà molto migliore.

I dati recentemente diramati sul consumo interno parlano di contrazioni preoccupanti: 3,5% in meno per il turismo, 8% in meno per la vendita di carne rossa, addirittura dal 3 al 5% in meno sui pieni di carburante e, ovviamente, il 2% del tessile abbigliamento.

Due percento in meno. Potrebbe andare peggio….

In effetti il settore tessile, e più precisamente l’abbigliamento, non ha segnato un calo troppo drastico sui consumi interni e, probabilmente, in un quadro di certo non edificante, terrà molto più di tanti altri settori. Eppure se ci si avventura tra imprese ed imprenditori, la versione che se ne ricava è del tutto diversa, drammatica quando non, decisamente, tragica.

Sembra che qualcosa non torni. In realtà le statistiche raramente entrano nel dettaglio dei fenomeni che valutano, per cui se la statistica sostiene che per ogni uomo italiano vi sono una media di quattro donne, non significa necessariamente che ognuno di noi debba avere in casa un piccolo harem, o che il nostro vicino di casa debba forzatamente avere otto mogli (avendo acquisito anche le quattro ragazze che la statistica ci attribuiva…). Gli statistici dicono che la moda in Italia non è il settore di vendita più disastrato, ma non entra nel merito di chi trae vantaggio, o meno, da questa situazione.

Di certo il settore ormai sta passando di mano e ancora una volta un primato italiano ed uno dei settori più inossidabili della nostra economia, che ancora potrebbe trainare un indotto manifatturiero consistente, stanno per essere svenduti senza troppi complimenti a mani estere, che sanno sostituirsi a noi italiani e, addirittura, a rivendersi per italiani.

Mentre, dunque, veniamo a sapere di banche (anche territoriali) che ogni giorno bruciano centinaia di milioni di euro in operazioni finanziarie discutibili, ancora oggi attuate con pochi scrupoli, e di acquisti poco prudenti di mobili ed immobili da parte di istituzioni ed enti pubblici, che piuttosto dovrebbero tutelare lavoro e produzione, qualcuno sfrutta la generale miopia e la sorprendente incapacità d’azione di governanti e amministratori italiani di qualsiasi livello, per colonizzare un settore ed un territorio e prosciugarne anche le ultime speranze di ripresa.

Forse sarebbe il caso di iniziare a valutare, perdendo il minor tempo possibile, politiche di aggregazione tra imprese che siano efficaci, studi di settore che aiutino le aziende ad intraprendere strade possibili e, finalmente, un tavolo di discussione comune che non sia solo l’accolita dei pochi grandi imprenditori tessili, proprietari dei pochi gruppi produttivi quasi tutti e da tempo de localizzati. Forse sarebbe il caso di rivedere con urgenza l’opportunità e la periodicità dei saldi (che ormai rappresentano una schiavitù per dettaglianti e imprese), il rapporto tra aziende e negozianti (oggi sbilanciato a tal punto a favore delle prime che i negozianti, semplicemente, muoiono, portando con loro l’unico accesso oggi efficace sul mercato) e la catena distributiva, organizzata, oggi, su meccanismi vecchi e troppo costosi.

In un’Italia formata da migliaia di imprese di dimensioni piccole e a volte microscopiche, che tuttavia rappresentano percentuali assolute di maggioranza, servirebbe che qualcuno iniziasse a spiegare le nuove linee guida del mercato economico e che gli aiuti non fossero unicamente rivolti alle poche, e sempre meno italiane aziende di riferimento, ma alle imprese che ogni giorno forniscono la quasi totalità dei posti di lavoro. Sarebbe utile anche che la burocrazia, almeno nel momento del bisogno, lasciasse spazio alle soluzioni più pratiche e costruttive e che le imprese italiane potessero essere favorite rispetto alla concorrenza straniera e non, come sempre, svantaggiate da regole permissive e da una fiscalità tanto esuberante da diventare il principale freno economico.

Siccome, però, chi ci governa, a partire dai tecnici qualificati che compongono l’attuale consiglio dei ministri, dimostra di essere drammaticamente scollegato dalla realtà dei fatti e dai i tempi attuali di riconversione e sviluppo, sarebbe meglio che ogni imprenditore intenzionato a sopravvivere iniziasse a proporsi come interlocutore ai propri omologhi, fornitori, clienti e concorrenti, dimenticando le velleità di concorrenza e cercando nuove strade e nuovi alleati. Ricordandosi che oggi è tardi, ma non “troppo tardi”, mentre domani, una volta chiusa l’attività, sarà pressoché impossibile trovare alternative lavorative .

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