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Mirò a Cagliari, colori ed emozioni in libertà

Poesialetteratura arti visive. Vi è da sempre un fervido e fertile rapporto tra questi diversi modi di comunicare e narrare al mondo del mondo e di se stessi e di meravigliare gli amanti dell’arte, anche quella, sublime, della parola. 

Ci è parso, in questo senso, un ottimo esempio di commistione, una dimostrazione della assoluta labilità dei confini che esistono tra la parola scritta (sia essa resa in forma di poesia, di romanzo o di dramma teatrale) e la narrazione che scaturisce dal segno del pittore (nel nostro specifico caso, dell’incisore) la mostra ‘Mirò colora Cagliari, i sogni e le parole’, chiusa nell’allestimento, per così dire, ‘completo’ il 25 Settembre u.s. (è stata però prevista una proroga della scadenza sino all’11 Dicembre p.v. con un allestimento ‘limitato’ alternativo che vedrà esposta, unicamente al Castello di S.Michele, una selezione delle opere presenti fino al 25 Settembre negli altri centri d’arte comunali). La mostra è logisticamente dislocata in tre diversi centri di arte e cultura comunali Castello di S.Michele, Exmà, e Il Ghetto, tra i più suggestivi presenti nella città sarda. La mostra curata da Simona Campus ha consentito a molti cagliaritani e non solo di ammirare oltre duecentocinquanta pezzi della significativa produzione grafica dell’artista catalano (Mirò, scomparso nel 1983 a Palma di Maiorca, era nato a Barcellona nel 1893). Dell’importante corpus di opere grafiche presentato nel capoluogo dei sardi, una serie riguarda ‘Le lezard aux plumes d’or’, pubblicazione d’artista del 1971 comprendente testi dello stesso Mirò. Le ulteriori raccolte omogenee di tavole presentate in rassegna sono le seguenti:

- 2 serie (una a colori e una in bianco e nero) intitolate Ubu Roi sono dedicate al dramma grottesco omonimo composto nel 1896 da Alfred Jarry, scrittore e drammaturgo francese il cui nome figura tra i teorici del movimento Dada;

Anti-Platon, serie di opere grafiche che accompagnano gli scritti del poeta francese Yves Bonnefoy;

- La lumiere de la lame, che comprende incisioni costituenti un tutt’uno con i componimenti di un altro poeta d’oltralpe: Andrè du Bouchet;

Saccades, raccolta che integra e impreziosisce le parole di Jacques Dupin;

Les penalites de l’enfer ou les nouvelles Hebrides (1974), serie ispirata all’opera omonima del letterato surrealista francese Robert Desnos;

Quelques fleurs pour des amis, album artistico stampato nel 1964. La raccolta contiene tavole che Mirò volle dedicare a persone care e ad amici (tra essi Eugene Ionesco, Max Ernst, Alberto Magnelli, e molti altri) che popolavano la sua vita privata;

Le marteau san maitre (1976), serie che arricchisce testi del poeta surrealista francese Renè Char;

Maravillas con variaciones acrosticas en el Jardin de Mirò, serie di incisioni che si giova del contributo del poeta spagnolo Rafael Alberti;

Parler seul: raccolta di settanta litografie che costituiscono l’accompagnamento ideale per i versi del poeta dada di origine romena Tristan Tzara.

La mostra ha anche offerto l’occasione di confrontare l’opera incisoria di Mirò esposta, con alcuni lavori (realizzati con la tecnica dell’acquatinta) di Pablo Picasso. Il grande pittore spagnolo, grande amico di Mirò, li realizzò ispirandosi al poema Sable mouvant, del poeta francese Pierre Reverdy.

Ad ammirare queste opere, passo dopo passo si rimane avviluppati in un'esperienza calata in atmosfere uniche, quasi ci si trovasse di fronte a una nuova forma di espressione creativa, una tipologia comunicativa sui generis che per essere completa richiede la presenza indissolubile e contestuale del segno e della parola, elementi costitutivi entrambi irrinunciabili che nelle serie artistiche che ci riguardano si integrano perfettamente interfacciandosi a vicenda. Tutto ciò non tanto sul piano del significato intrinseco delle parole o del disegno, delle linee, del segno e del colore, quanto sul piano delle emozioni che opere così composte possono suscitare in chi guarda. E’ l'immaginazione umana che viene continuamente solleticata, che viene anche emozionalmente richiamata e che, astraendosi e rifugiandosi nell’onirico svolge addirittura un ruolo attivo quando chi guarda osserva le opere citate con opportuno atteggiamento di disponibilità, di apertura, di ‘fiducia’, mi sentirei di dire, nei confronti dell’artista, del poeta e dell’opera d’arte nel suo insieme. Peraltro, un’esperienza di questo tipo, per essere apprezzata come merita, va o dovrebbe essere vissuta anche alla luce della conoscenza dei principi dettati dai manifesti avanguardistici del Dadaismo e del Surrealismo, movimenti artistici che hanno influenzato l’attività di Joan Mirò a un punto tale che hanno determinato l’inclusione dell’artista catalano nell’aura dei maggiori esponenti dell’avanguardia artistica, in special modo di quella aderente al movimento surrealistico.

‘Qualunque opera pittorica o plastica è inutile, sostiene Tristan Tzara nel Manifesto del Dadaismo del 1918; e prosegue: che almeno sia un mostro capace di spaventare gli spiriti servili, e non la decorazione sdolcinata dei refettori degli animali travestiti da uomini, illustrazioni della squallida favola dell'umanità. Un quadro è l'arte di fare incontrare due linee, parallele per constatazione geometrica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo la realtà di un mondo basato su altre condizioni e possibilità. Questo mondo non è specificato, nè definito nell'opera, appartiene alle sue innumerevoli variazioni allo spettatore’ . [1]

Dal canto suo Andrè Breton definisce il Surrealismo come segue: ‘SURREALISMO, n. m. Automatismo tipico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmete, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale’.[2]  

Massima libertà espressiva e molta casualità, come si vede, figurano tra i punti cardine che, in contrapposizione ad un modo di concepire l’espressione artistica come guidata da una logica rigorosa e frutto unicamente di raziocinio caratterizzano il modo di fare arte degli artisti che condividono i manifesti Dada e del Surrealismo. ‘Per Breton’, sostiene Fabio Gambaro, il surrealismo è una pratica liberatrice capace di investire la poesia e la pittura, il cinema e la scultura, nonché le città, i sentimenti e il mondo. Si tratta insomma di una prospettiva totalizzante capace di superare la tradizionale opposizione tra arte e vita, avviando una esperienza ambiziosa che sfida senza paura le certezze e i pregiudizi del tempo’. [3]  

Si parlava di prospettiva totalizzante. In definitiva quei blu, quei gialli e rossi, quel nero così cupo presenti nelle incisioni di Mirò, rimandano da un lato ai luoghi in cui Mirò è nato, la Spagna in tutti i suoi aspetti, diciamo così, fisico-geografici e civili, dall’altro paiono attingere energia e senso profondo, insieme a tutte le figure create dal segno dell’artista che qui e là, all’interno delle tavole esposte, siamo liberi di intravedere e/o immaginare, dai versi poetici, dalle parole che di volta in volta si affiancano all’incisione. Viceversa le parole mostrano sempre sorprendenti affinità rispetto al segno dell’incisore. E’ per questo motivo che la totalità delle due diverse parti si trasforma infine, agli occhi attenti di chi guarda, in mero pretesto che favorisce un'osservazione distaccata scatenando perciò la nostra capacità di accostare in modo libero e creativo, denso dei significati più diversi, parole, immagini e pensieri.  


[1] Ho tratto il testo di Tzara dal sito internet http://www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html, che ho visitato in data 27 Settembre 2011.

[2] La definizione di Breton è tratta da http://keynes.scuole.bo.it/ipertesti/arte_cinema/manifestosurr.html, sito internet visitato il 27 Settembre 2011.

[3] Fabio Gambaro, Surrealismo, Milano 1996, p.10.

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