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Londra – Solo “tolleranza zero”?

Basta l’uccisione di un giovane di colore in fuga da un inseguimento della polizia britannica a spiegare l’escalation di violenza che in questi giorni sta mettendo a ferro e fuoco la capitale inglese? È possibile liquidare le cause di una vera e propria rivolta armata come un problema di tipica microcriminalità metropolitana?

La stessa cosa è accaduta alcuni anni fa in Francia.

Il 25 ottobre del 2005 in una piccola cittadina alle porte di Parigi due adolescenti morirono folgorati all’interno di una cabina elettrica e un terzo rimase gravemente ferito. Secondo le prime ricostruzioni i tre ragazzi di origine maghrebina stavano tentando di nascondersi dall’inseguimento di una pattuglia della polizia. La notizia fece subito il giro della Francia, scatenando scontri violentissimi nei quartieri più degradati delle città francesi, le cosiddette banlieue.

È evidente che gli episodi da cui hanno avuto origine sia la rivolta a Londra sia quella a Parigi sono stati un pretesto. Fatti drammatici come questo ne accadono così tanti da non poter giustificare una rivolta in ogni città del pianeta.


Se il fine della protesta fosse stata la richiesta di giustizia sarebbe bastato tenere alta l’attenzione sulle morti di quei ragazzi. Invece, si è scatenata una vera e propria guerriglia urbana che ha visto contrapposti gruppi di giovani, per lo più immigrati di seconda e terza generazione, e uomini delle forze dell’ordine, sfociata in episodi criminali del tutto ingiustificati.

Cosa c’entra il saccheggio e la razzia di negozi con la protesta per l’uccisione di un ragazzo? Perché distruggere tutto quello che si incontra per strada e incendiare le automobili di privati cittadini?

Tali azioni sono indicatori di un disagio sociale che ha bisogno di un’analisi più complessa e approfondita.

Di certo non si può non notare che le rivolte sono scoppiate in quartieri malfamati di grandi città, a seguito dell’uccisione di ragazzi di etnie straniere e sempre ad opera delle forze dell’ordine, che rappresentano lo Stato. Non a caso le rivolte sono state animate da gruppi di giovani provenienti dagli stessi quartieri, anche loro di etnia straniera e contro le forze dell’ordine, che per l’appunto rappresentano lo Stato. Un segmento ben definito del tessuto sociale occidentale che vive in periferia, ai margini del benessere e che rivendica con la forza le stesse prerogative e possibilità di una società che esibisce modelli e stili fondati sul mero consumismo. Appannaggio di una porzione di popolazione corrispondente, nella maggior parte dei casi, con quella bianca che abita nei migliori quartieri delle città. Ecco che l’uccisione di un ragazzo di colore viene letta come l’uccisione di “uno di noi” da parte di “loro”, fino a trascende in un rigurgito di rabbia e frustrazione da riversare nei confronti dello Stato e della “società bene”, che i manifestanti non criticano, ma di cui anelano status e simboli.

Rispondere con la politica della “tolleranza zero” può essere una misura di emergenza, da prendere sul momento, utile solo a sedare la violenza e a riportare la calma. Essa non risolve il problema, pronto a riesplodere al ripetersi di situazioni simili. Le cause, infatti, risiedono nello squilibrio sociale, economico e culturale e negli stili di vita che attraversano la società e le città occidentali. È qui che bisogna intervenire con adeguate politiche sociali ed un investimento socio-educativo costante per costruire orizzonti culturali, di senso, principi valoriali dove il benessere non si basi più sul possesso, sul consumo, sulla popolarità, sull’esteriorità… ma sull’essere, sulla ricchezza interiore, su relazioni solidali di comunità.L’educazione come fattore di sviluppo per mettere le persone nelle condizioni di vivere in pienezza la propria vita e creare le condizioni per la civile convivenza.

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