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Lodo Mondadori: altri tre giudici con i calzini azzurri?

Le reazioni del PDL -nonché degli amici e parenti del presidente del consiglio- alla condanna in appello per il caso Mondadori sono un corso applicato di propaganda che vale la pena di analizzare. Lo schema è semplice, ripetitivo e - purtroppo - esiziale per lo stato di diritto: le sentenze che non piacciono a Berlusconi vengono bollate come "sentenze politiche", i giudici che le emettono come "giudici politicizzati". 

Lo schema non riguarda solo i verdetti di primo e secondo grado, ma anche quelli definitivi: se la Cassazione confermerà il risarcimento da versare alla Cir di De Benedetti la risposta sarà ancora una volta un attacco alla magistratura. Il gioco è strutturato per funzionare sempre: se una sentenza di grado successivo annnulla una condanna emessa in precedenza, è la prova che i giudici del primo o del secondo grado erano viziati da un pregiudizio politico; se la condanna di primo grado viene confermata in secondo e terzo, è la prova che tutti i magistrati sono "comunisti" e che "la giustizia è da riformare". L'ipotesi più plausibile -e cioè che se tre corti diverse formate da giudici diversi giungono alle stesse conslusioni, è perché i fatti stanno in quel certo modo e non in un altro- viene scartata a priori in quanto va politicamente esclusa anche solo la possibilità teorica che Berlusconi sia colpevole di qualcosa.

Capaci di spararle sempre più grosse, i vari Bondi, Cicchitto, Gasparri bombardano di dichiarazioni esplosive le agenzie stampa, farneticando di complotti bolscevichi, vergognose persecuzioni, espropri proletari, rapine a mano armata, per commentare una sentenza che stabilisce semplicemente che chi ha ricevuto un danno deve essere risarcito. Per di più - cosa che si guardano bene dal ricordare - il danno alla Cir è stato inferto in virtù della corruzione del giudice Metta, fatto accertato in modo definitivo da una sentenza di terzo grado. E il verdetto d'appello emesso sabato 9 luglio afferma a chiare lettere che l'attuale capo del governo fu correo di quel gravissimo reato e riuscì a salvarsi da una condanna penale solo in virtù della prescrizione.
 
Eccoci così al paradosso: coloro che dovrebbero nascondersi dall'imbarazzo per aver sostenuto un corruttore di magistrati li vediamo in televisione a "sparare a palle incatenate" contro i giudici "politicizzati" e a straparlare di "giustizia amministrata come nei Paesi totalitari", di "aggressione giudiziaria", "ritorsione per aver fatto fallire il progetto del partito comunista di impadronirsi del potere". Si rimane a bocca aperta di fronte all'inventiva sfacciataggine con la quale i pretoriani di Silvio lanciano comunicati senza requie, ben sapendo che la miglior difesa è l'attacco.
 
Le argomentazioni utilizzate per respingere la sentenza, poi, sono delle più strampalate: una fra le più diffuse è che le aziende di Berlusconi rappresentano "una risorsa per il Paese", dunque colpire la loro solidità economica significa danneggiare l'Italia. Nessuno mette in dubbio che le aziende di Berlusconi diano lavoro a molte persone, ma si dà il caso che il loro fondatore - quanto i fondatori di tutte le altre - sia tenuto a rispettare le leggi e le sentenze. La concorrenza è il sale del mercato e in questo caso i comportamenti corruttivi impedirono ad un altro attore di giocare la sua partita: potremmo anche supporre che con una casa editrice nelle mani del danneggiato invece che del corruttore avremmo avuto più posti di lavoro e più produzione di ricchezza. D'altra parte è per questo motivo che esistono normative antitrust e che un alto numero di concorrenti su piazza è considerato dagli economisti preferibile al monopolio o all'oligopolio. Il fatto che Berlusconi detenga quote schiaccianti del mercato pubblicitario e molto ingombranti di quello editoriale, televisivo, assicurativo non è una buona notizia per il mercato e per l'Italia ma una cattiva notizia, economicamente parlando. I sistemi bloccati dove la concorrenza è scarsa e continuamente ostacolata - per giunta, come accade in Italia, da una scandalosa coincidenza di potere politico ed economico che permette di sfornare leggi ad aziendam - sono meno sviluppati e vantaggiosi per il consumatore di quelli dove vige un mercato aperto.
 
Un'altra argomentazione bislacca è che "anche De Benedetti ha i suoi difettucci e i suoi scheletri nell'armadio": ma questo - ammesso e non concesso che corrisponda al vero - non ha nulla a che vedere con la sentenza di cui stiamo parlando. Si affastellano così minacce, improperi e sparate che puntano sull'emotività del votante pidiellino proprio per evitare che questi si concentri razionalmente e tranquillamente sul merito della vicenda. Il bello è che poi dagli stessi che trattano le sentenze come barzellette ed evocano scenari da eversione pura (come altro si può definire la volontà affermata di non rispettare i pronunciamenti di un tribunale?) vengono appelli e ramanzine all'opposizione sul bisogno di essere "moderati" e "pacati". 

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