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Il federalismo voluto dalla Lega è già finito, ma non lo si può dire

La rivolta di sindaci e governatori del centrodestra contro l'ennesimo taglio dei trasferimenti dal governo centrale agli enti locali è stata prontamente repressa sia da Alfano, coordinatore del PDL, sia da Bossi, leader della Lega nord: il primo ha intimato di smetterla subito con polemiche e liti interne alla coalizione, alludendo ai duri giudizi pronunciati da Polverini, Alemanno e Formigoni riguardo alla manovra finanziaria; il secondo ha liquidato come "gente che ha tempo da perdere" i sindaci leghisti che sono scesi in piazza per protestare.

Si è anche parlato - ma il Ministro Maroni smentisce - di minacce di espulsione dal Carroccio nei confronti dei battaglieri sindaci di Verona e Varese, entrambi con il fazzoletto verde ed entrambi in prima fila da settimane nel bocciare i tagli del governo.

Lo scopo delle reprimende nei confronti dei riottosi rappresentanti locali è ovviamente quello di presentare un'immagine monolitica della coalizione PDL-Lega, nel timore che gli elettori incerti voltino le spalle al centrodestra: la priorità assoluta è mantenere il potere, anche a costo di snaturare completamente il progetto politico che era stato proposto agli Italiani nel 2008.

Tre anni fa Bossi, Calderoli e Maroni promettevano una rivoluzione federalista, assicuravano che i comuni del nord non sarebbero mai più andati "con il cappello in mano chiedere l'elemosina a Roma", e che le tasse sarebbero state pagate agli enti locali i quali, in un secondo momento, avrebbero girato la loro parte di contribuzione al governo centrale.

I leghisti tuonavano contro il centralismo di uno Stato "sprecone", che succhia la ricchezza del nord per disperderla nei meandri di un'elefantiaca burocrazia spendacciona e meridionale. In televisione circolavano spot elettorali a firma leghista che assicuravano a piemontesi, veneti e lombardi: "Saremo come la Svizzera e la Baviera".

Di tutto questo non solo non è stato realizzato alcunché: con le manovre finanziarie del governo Berlusconi-Bossi si è fatto addirittura l'esatto contrario. Mai comuni e regioni hanno goduto di così poca autonomia, mai si sono abbattuti sugli enti locali tagli così pesanti e tali da rendere necessari aumenti a raffica delle tariffe per garantire i servizi ai cittadini. Che protestino anche i sindaci e i governatori delle regioni di centrodestra dunque è non solo comprensibile, ma in un certo senso doveroso: il tradimento delle premesse su cui era nata l'alleanza PDL - Lega è talmente palese da rendere inevitabili le rimostranze di chi ci aveva creduto.

Il tono degli esponenti del Carroccio che siedono a Roma di fronte alle proteste dei loro stessi compagni di coalizione che amministrano enti locali si fa ogni giorno più infastidito: a Formigoni, che lunedì faceva notare come con la manovra economica in approvazione la Lombardia sarà costretta a tagliare un treno su due e dunque a dare un colpo letale al trasporto dei pendolari, il leghista Castelli ha risposto che "le regioni devono imparare ad arrangiarsi da sole", alzando il prezzo del biglietto: il quale negli ultimi mesi in Lombardia è già aumentato del 25%. Ci si avvicina dunque ai prezzi "svizzeri e bavaresi", ai quali purtroppo occorre far fronte con stipendi greci (ma questo lo spot leghista non lo metteva in evidenza...).

Nel frattempo il governo centrale aumenta la pressione fiscale anche per far fronte all'enorme debito pubblico, riesploso a partire dal 2008 proprio sotto la gestione di chi assicurava ogni giorno di star "tenendo i conti a posto". Così a posto che ormai lo spread fra Btp e Bund ha ormai superato i 400 punti.

Eccoci dunque di fronte a una tenaglia devastante: le tasse da pagare allo Stato centrale aumentano, i trasferimenti agli enti locali diminuiscono, e questi sono a loro volta costretti o a tagliare i servizi o ad aumentare le tariffe. Il tutto in un contesto di crescita prossima allo zero e di redditi fermi. Il federalismo è morto prima ancora di vedere la luce, e rimane solo negli annunci fumosi dei raduni leghisti - senza che ormai nemmeno i militanti ci credano più. 

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