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Lo sviluppo urbano ai tempi della crisi. L’esempio di Copenaghen

Come può una relativamente piccola capitale nord europea competere con metropoli del calibro di Londra, Berlino, New York e Shanghai? In quanto a infrastrutture ed edilizia, si tratta di un esempio che potrebbe essere utile in un paese come l’Italia dove il dibattito sulle infrastrutture è fermo allo scontro No Tav – Si Tav.

Parliamo di Copenaghen, città determinata - anche in tempi di crisi economica per l'Europa e per il mondo - a costruire interi nuovi quartieri per diventare il motore dell'economia danese, e a far fronte all'aumento della popolazione previsto del 10% entro il 2025.

In Danimarca sembrano aver chiaro che il nostro mondo sta cambiando, e cambierà perché la maggioranza dell'umanità, per la prima volta nella storia, ora vive in città, ed entro il 2050, la quota della popolazione urbana raggiungerà il 70 per cento.

A fronte di un fenomeno che appare ineluttabile, vi sono diversi esempi di evoluzione urbanistica in giro per il mondo. Non sempre positivi: come Singapore, che si sta trasformando in una vera giungla urbana; o come Fort Collins, in Colorado, che ha stravolto il tradizionale processo di pianificazione, quando evidentemente non se lo poteva permettere. Ma anche dai risultati sorprendenti, come Rio de Janeiro che si segnala come la città che sta utilizzando la migliore tecnologia per far fronte alle possibili calamità e, infine, anche Città del Capo, in Sudafrica, dove si è svolta la Coppa del Mondo 2010 di calcio. L'evento è stato una manna per le infrastrutture, i trasporti pubblici in particolare. Nonostante la povertà e la criminalità, gli indicatori sulla qualità complessiva della vita classificano la città come una delle migliori in Africa.

Venendo in Europa, c’è appunto il caso Copenaghen, dove su una striscia di pianure aride fra la frangia sud della capitale e il suo aeroporto internazionale, è nata Ørestad, il quartiere al quale è stata assegnata la seguente missione: “Il distretto deve funzionare come controparte al vecchio centro città di Copenaghen, e contenere un ambiente urbano di qualità artistiche e ambientale elevate che possa funzionare come laboratorio per nuove idee” - riporta il sito del comune danese. O più semplicemente: convincere le imprese e le famiglie giovani a rimanere in città anziché spostarsi verso la periferia, o all'estero.

Molte aziende si sono trasferite ad Ørestad, ma il piano non si è ancora dimostrato un grande successo, e trova difficoltà ad attrarre nuovi residenti.
Il progetto è comunque avveniristico, e se possono sollevarsi dubbi sull’impatto estetico, l’idea principe è quella di offrire alla città un quartiere che offra servizi per il tempo libero e spazi di verde. Qualcosa, cioè, di ben diverso dai quartieri-dormitorio delle nostre periferie.

"Anche se i nuovi edifici nascono ad un ritmo più lento rispetto a prima della crisi finanziaria – dicono dal comune della capitale danese – i lavori ad Ørestad non si sono fermati". E questo, dicono i funzionari, perché o la città cresce o è destinata alla stagnazione.

Sarà davvero così? Le città devono per forza crescere o morire?

Copenaghen si sta preparando in questi momenti difficili per quando ci saranno tempi migliori? Saranno in grado progetti come Ørestad, in un paese che ha già il più lungo ponte a campata in Europa, di attrarre investimenti e guadagni in futuro?
E quelle città che hanno smesso costruire e di smantellare hanno allora rinunciato al loro futuro? O forse l’ego di molte città sta diventando troppo grande per i loro portafogli? Le città possono ancora cullare sogni fantasiosi, o forse sarebbe meglio impegnarsi a mantenere e migliorare ciò che già c’è?

Se mettiamo il naso fuori dall’Italia, il dibattito è aperto. Lo sviluppo infrastrutturale è prima di tutto sviluppo urbano. Sempre che non si preferisca parlare di Tav.
 

Il progetto di Ørestad: 

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