Lo spirito Italiano, la lingua dei politici e una pentola a pressione che spero non scoppi

"In pubblico o in privato la nostra classe dirigente mette in mostra tutta la propria modestia (...) gli italiani sopportano, ma solo fino a un certo punto".
Ho sempre la fede più totale nel futuro a medio e lungo termine dell’Italia; nessuno potrà spostare l’Italia da dov’è e tra cento o mille anni continuerà ad essere al centro del Mediterraneo: al centro del centro del mondo antico, luogo privilegiato degli scambi di beni, uomini e, soprattutto, idee, tra tre continenti.
Ho una fiducia assoluta nello spirito italiano; in quella particolare condizione dell’anima che ci hanno donato millenni di meticciato. Non so dove nascerà il mondo di domani, ma quello di dopodomani o del giorno dopo sorgerà ancora in Italia.
Tanti popoli hanno una cultura dal carattere ben definito, si sa che ci si può aspettare da loro; da noi italiani ci si può aspettare di tutto, dal pessimo al sublime. E il nostro non essere che ci rende così o meglio il nostro essere talmente complicati da sfidare qualunque definizione. Gli altri popoli non hanno dubbi quando debbono scegliere un personaggio che li rappresenti; l’uomo della frontiera americano, il piccolo agricoltore francese, il commerciante inglese, il burger tedesco. I miei amici irlandesi, complicati la loro parte, non sanno mai decidersi tra il monaco ed il bardo, ma sono già un caso particolare. Noi italiani (il pulcinella col mandolino è una caricatura, non ci sentiamo così) non sapremmo proprio chi indicare; quando ci guardiamo dentro, quando proviamo ad ascoltare le voci del passato che ci ha fatto, troviamo di tutto e il contrario di tutto. Siamo il legionario romano e lo schiavo venuto da chissà dove, il santo martire e lo spettatore che lo vede sbranare nel circo, il longobardo a cavallo e il poeta arabo che ci ha regalato la zagara (per me la parola più bella, assieme a libellula, dell'italiano). Dentro di noi, se solo abbiamo la pazienza di cercarlo, possiamo trovare il banchiere toscano e l’avventuriero veneziano, l’artista geniale e il mistico visionario. Savonarola e chi ha dato fuoco alla sua pira. Chiunque.
So con certezza che nel momento del bisogno, proprio perché qualunque carattere è parte dello spirito italiano, emergerà dallo spirito italiano il carattere giusto per affrontare i tempi che saranno; ci vorranno decenni o secoli ma l’Italia tornerà, inevitabilmente, ad essere il faro del mondo.
Sta in quest’ultima mia affermazione tutto il pessimismo che provo, da qualche tempo, per il nostro immediato futuro; la vera ragione per cui a volte m’indigno con chi manifesta la propria disillusione. Cerco, contrastando la loro, di tenere sotto controllo quella che mi sento nascere dentro.
Non è la misura del debito pubblico a rendermi pessimista (se lo volessimo davvero, se fossimo disposti tutti assieme a sacrificarci, lo ridurremo a quasi nulla nel giro di un decennio o poco più; nello stesso tempo in cui l’abbiamo creato) e neppure mi paiono tragiche la situazione della nostra economia reale (va ristrutturata, certo,ma abbiamo fatto miracoli in questo campo anche nella nostra storia recente) e quella delle nostre infrastrutture (stanno invecchiando, me ne rendo conto ogni volta che torno, ma nulla che non si possa celermente rimodernare); quello che mi lascia sgomento è quel che ascolto durante le telerisse condotte da Santoro o Floris che sento per tenermi compagnia mentre disegno. Quello che mi ha lasciato a bocca aperta per lo stupore, e mi ha fatto cadere... le braccia, è quello che ho letto, in questi anni, delle conversazioni tra i nostri potenti intercettate dalla magistratura nel corso delle sue indagini.
In pubblico o in privato la nostra classe dirigente mette in mostra tutta la propria modestia.
E’, caso unico nella storia o quasi, moralmente, culturalmente ed intellettualmente peggiore del paese che, per un qualche maleficio, è stata chiamata a governare. Deputati e senatori, ministri e sottosegretari esprimono, in pubblico, solo banalità illuminate dai lampi di qualche idiozia e lo fanno in un italiano pessimo; sono dei mentecatti che non sanno neppure esprimersi con proprietà. Ricorderò sempre come uno dei momenti più tragici nella storia della nostra lingua il momento in cui, ospite di Santoro, una figurante, parlamentare del PdL usò il verbo “disconfermare”. A molti parrà un peccato veniale, ma io, forse perché mi devo destreggiare tra una mezza dozzina di lingue diverse, ho per come si dice quel che si dice un’attenzione particolare. Se usi “disconfermare” per dire “smentire” non dai solo prova di essere ignorante; metti a nudo dei percorsi mentali talmente contorti e complicati da meritarti, ed è solo un giudizio tecnico, la qualifica di demente; non ragioni, mentre trituri parole a mille all’ora davanti le telecamere: sragioni e chi sragiona non dovrebbe stare in parlamento, ma messo nelle condizioni di non fare troppi danni a sé ed al Paese.
Le conversazioni private dei nostri dirigenti, poi, sono scandalose. Non parlo dei contenuti, penalmente rilevanti o no; parlo, ancora una volta, del linguaggio. Lo pseudo-italiano sfoggiato in pubblico scende, se possibile, ancor più di livello; diventa un linguaggio poverissimo, infarcito di scurrilità e di metafore sessuali da adolescenti maleducati. Nelle fabbriche e nei cantieri chi sta alla base della piramide, i lavoratori che debbono pagare il conto a questa classe dirigente, parlano un italiano migliore e, per certo, non usano quelle espressioni se non in via del tutto eccezionale, per esprimere la stizza di un momento; sono operai e manovali quegli italiani, non avanzi di galera o parlamentari.
E’ di una classe dirigente del genere che non ho nessuna fiducia ed è il fatto che non ne vedo un’altra all’orizzonte che m’induce ad un pessimismo sempre più profondo. Sono dei mentecatti, i nostri dirigenti, ma hanno affondato i loro artigli nelle istituzioni e nei partiti al punto da impedire qualunque rinnovamento. Le poche voci nuove che arrivano dalla politica (penso a Renzi; l’unica, a dire il vero, di queste voci che io abbia avuto modo di sentire) appartengono a dei giovani vecchi ancor più trasandati nel linguaggio e dozzinali nelle idee di quelli che vorrebbero sostituire, quasi che il peggio dell’Italia che sta per non essere più volesse garantirsi una continuità nel malgoverno passando il testimone al peggio (o quasi) dell’Italia che potrebbe essere. A dei galletti giovani, sì, ma educati nello stesso pollaio.
Quello che è certo, che emerge da qualunque conversazione con i cittadini, è che la pressione dentro la pentola Italia sta salendo molto velocemente; che i nuovi prezzi da pagare agli errori della classe dirigente potrebbero far saltare, nel modo più esplosivo, il coperchio. Quello che temo davvero è che per miopia, facile ottimismo o semplice stupidità, qualcuno pensi di poter tener serrato il coperchio indefinitamente, continuando nelle manfrine che sono state, da un trentennio almeno, tutto quello che la politica dei partiti, vecchi e nuovi, ha offerto all’Italia.
Fosse così, con tanti auguri al sottosegretario Crosetto che spiegava ieri come auto e voli blu non siano dei privilegi, scoprirebbe che, nello spirito italiano, come c’è la vittima c’è anche il giustiziere; che gli italiani sopportano, ma solo fino ad un certo punto.
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