• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Lipsynch: Lepage al Napoli Teatro Festival Italia 2010

Lipsynch: Lepage al Napoli Teatro Festival Italia 2010

Un pullman in piazza ad accogliere gli spettatori in attesa dell’anteprima al Napoli Teatro Festival Italia: così è stato inaugurato, il 29 e 30 maggio, uno degli eventi teatrali più seguiti degli ultimi anni.

Lipsynch: Lepage al Napoli Teatro Festival Italia 2010

Il sipario, che rimarrà alzato per quasi un mese e porterà la città di Napoli sotto le abbaglianti luci dei riflettori, si apre con il regista canadese Robert Lepage, fondatore del gruppo Project Ex Machina, che dal 1994 raccoglie attori, scrittori, cantanti lirici, musicisti, scenografi, graphic designer nel tentativo di unire forme dello spettacolo live ad altre registrate sotto forma di video, attraverso il linguaggio scenico.
 
È proprio questa la tendenza che segue l’opera diretta da Lepage, il cui titolo, Lipsynch, fa riferimento all’atto di cantare una canzone in playback muovendo le labbra in sincrono con la voce registrata senza però emettere suoni.
“La voce è un meccanismo interno che trova la sua estrema espressione all’esterno del corpo. Ma per esaminarla e cercare di comprenderla appieno occorre prendere distanza dagli stimoli visivi e scendere là dove la voce è radicata.”, afferma Lepage. Se i precedenti lavori del regista si incentravano soprattutto sull’immagine, il movimento, lo spazio e la musica, in Lipsynch importanza focale viene data alla voce, componente essenziale attraverso la quale si possono esplorare le diverse sfaccettature della comunicazione verbale. Una concatenazione di possenti note liriche, voci registrate, musica rock, per raccontare una storia che coinvolge i nove protagonisti e intreccia le loro vite, dipingendo durante le nove ore di spettacolo, un pantagruelico quadro complessivo della nostra società moderna, comica e a tratti grottesca.
 
Lo spettacolo, cominciato sulle note della terza sinfonia di Górecki, interpretate dalla cantante lirica e attrice Rebecca Blankenship, distribuisce l’azione nel tempo e nello spazio tra Montreal, Inghilterra, Nicaragua e Canarie. L’opera si apre con la morte di una ragazza nicaraguense: da questo tragico evento si dipanano le storie indipendenti dei personaggi ad ognuno dei quali viene dedicato un capitolo dei nove di cui si compone l’intero spettacolo. Le nove storie, attraverso improvvisi flashback e flashforward, conducono lo spettatore in un labirinto di vite sapientemente intessute, che hanno per comune denominatore la difficoltà di comunicazione attuale. La confusione verbale trova infatti il suo paradigma in una cena in cui francese, inglese, spagnolo e tedesco si scontrano in una torre di babele che lascia lo spettatore senza fiato. Gli attori, slittando prontamente da una lingua ad un’altra, sono inoltre impegnati in più ruoli. Ognuno di loro usa un tipo di “voce” diversa: dai vagiti iniziali del neonato alle tonalità liriche, dal concerto rock a quello jazz, dalla lettura del labiale al doppiaggio, dagli spot radiofonici alle registrazioni dei familiari morti, dalle voci nella testa alla poesia.
 
La scenografia, affidata a Jean Hazel, si basa su veloci cambi di scena, effettuati direttamente sul palcoscenico da un preparato e attento gruppo di tecnici, attraverso l’uso di strutture che si assemblano o smontano a piacere, costruendo letteralmente la carlinga di un aereo, un vagone della metropolitana (con annesse stazioni e passeggeri in attesa sulle piattaforme) in movimento, un interno domestico, uno studio radiofonico e uno di registrazione, un ristorante, un set cinematografico, una libreria, una chiesa e altri ancora. Tanti allestimenti quanti sono gli spazi e le situazioni nei quali ci immettono le storie dei personaggi: Lupe, una ragazza, entrata nel giro di prostituzione con l’inganno e morta in aereo con un bambino in braccio; Ada Weber, la cantante lirica che adotta Jeremy, il figlio di Lupe, che, una volta diventato adulto, parte alla ricerca della verità sulla madre biologica e che successivamente diventerà un regista cinematografico; Thomas, il chirurgo compagno di Ada che riesce a conciliare scienza e fede attribuendo al cervello la creazione di Dio; Marie, la cantante jazz affetta da afasia che verrà operata da Thomas e, avendo perso temporaneamente la facoltà di parlare, registra il suono della sua voce senza la parola, perché “quando le parole mancano, la musica trascende”; Sarah, un’ex prostituta; Sebastian, un tecnico del suono; Jackson, un detective scozzese; Michelle, sorella di Marie affetta da crisi di schizofrenia. A chiudere il racconto di queste vite che il regista interseca e subito dopo allontana secondo l’ispirazione, la tragica storia di Lupe, che ci riporta all’inizio del spettacolo, in una sorta di movimento circolare che aiuterà poi a dare un senso alle nove ore di performance degli instancabili attori.
 
Al centro della narrazione quindi, ritroviamo argomenti scottanti come quello della prostituzione, dello stupro, dell’incesto, ma Lipsynch affronta anche temi come i disagi e i conflitti delle famiglie allargate, la malattia (le ombre delle allucinazioni dovute alla schizofrenia si nascondono sul palcoscenico dietro un pannello bianco), la morte e dei suoi aspetti grotteschi, la ricerca delle proprie radici e il viaggio di apprentissage, che porterà Jeremy in Nicaragua, la forza della poesia (si fa riferimento infatti al poeta Juan Hidalgo) che salva dalla malattia mentale ma allo stesso tempo ingabbia l’uomo.
 
Con Lipsynch, Lepage stupisce ancora una volta il pubblico grazie al suo fine senso estetico e alla ricerca di nuovi modelli di rappresentazione. Sebbene nello spettacolo l’accento sia stato messo sull’aspetto sonoro, non mancano stupefacenti effetti visivi: il tempo che passa reso grazie ad un vagone del treno che gira su se stesso e in cui Jeremy da bambino si trasforma in adolescente; un insieme di pezzi di legno sparsi per la scena che, con la proiezione di una telecamera e con l’aiuto della prospettiva, apparivano su un schermo gigante sotto forma di tavoli, pianoforti e sedie (Lepage esplora qui il concetto di illusione ottica: un tavolo che sul palcoscenico non esiste e si materializza solo grazie alla proiezione dell’immagine sullo schermo); una macchina che della macchina non aveva quasi nulla se non un volante, dei fari e dei sedili; la finta stazione della metropolitana dove però i personaggi apparivano come li si vedrebbe dal vivo su di una piattaforma; la proiezione di una violenza sul corpo immobile della giovane Lupe.
 

Lipsynch, i suoi nove meravigliosi attori e lo stesso Lepage, dopo aver tenuto inchiodati sulle poltrone gli spettatori entusiasti nonostante la durata colossale dello spettacolo, si sono quindi meritati i dieci minuti di applausi che hanno seguito la fine della rappresentazione.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares