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Legge ’bavaglio’: l’unica possibilità è il tradimento

Mentre inizia a calare l’attenzione popolare sulla morte di Steve Jobs, che di tutti gli avvenimenti sorprendenti della sua vita è forse il meno sorprendente, e sulla ripresa dell’attività di Wikipedia, che ha confortato tante persone timorose di perdere la loro precipua fonte d’informazione e di sapere, si può forse tornare a parlare della questione che, al pari della crisi economica, merita maggiormente di essere affrontata nel nostro paese: il disegno di legge sulle intercettazioni.

Girovagando per la rete non si fatica purtroppo a trovare, a dispetto delle numerosissime critiche, alcuni articoli (desta stupore che a farlo sia ad esempio un sito rinomato come linkiesta.it) e qualche commento in difesa del disegno di legge in questione. Sia chiaro, quelli che colgono - come e perché ci sfugge al momento - degli elementi positivi nel ddl sono la netta minoranza. E in effetti ciò che fa a pugni con la ragione non è certamente la quantità delle persone che lo difendono, quanto il fatto che quei pochi difensori siano ascrivibili, sebbene non la rappresentino, alla categoria che più ne risulterebbe danneggiata: quella dei blogger e degli informatori. Un blogger che consideri giusto o giustificabile il comma 29 (cd. Comma ammazza-blog) va a porsi sullo stesso piano di quel “giornalista” che è d’accordo al bavaglio sulle intercettazioni.

Affermare il valore imprescindibile della rettifica è un’idea nobile, ma come tutte le idee nobili rischia di morire nella culla prima di raggiungere la sua realizzazione. Quelli che credono sia opportuno responsabilizzare i blogger attraverso la possibilità di una rettifica ‘sempre e comunque’ al fine di evitare condotte diffamatorie dimenticano che una legge in materia già esiste, e fa capo all’art. 595 del codice penale, ovvero il reato di diffamazione. Insomma, se ti ritieni diffamato, querelami. Il sospetto che sorge spontaneo è questo: che, essendo tutelato dalla legge (art. 596 c.p.) il principio di eccezione della verità, per il quale l’attribuzione a un pubblico ufficiale di un fatto determinato che si dovesse appurare effettivamente accaduto non è punibile (per cui se scrivo che Tizio ha preso una tangente, e il giudice stabilisce che le cose sono effettivamente andate così, non sono sanzionabile), ed avendo la Cassazione ammesso la possibilità per i blogger di dimostrare fatti determinati a patto che rispettino criteri fondamentali come verità obiettiva, rilevanza sociale, continenza e pertinenza, l’intento del legislatore possa essere quello di colmare un’evidente vacatio legis con una norma censoria. Se per affermare che Caio ha rubato, devo anche aggiungere che Caio non ha rubato, in effetti non posso dire nulla senza dire il suo contrario. Sono insomma censurato. Pensare di risolvere il problema della responsabilizzazione del web in questo modo è un pestar l’acqua nel mortaio.

Alla stessa maniera, l’idea che si possa regolare la pubblicazione delle intercettazioni semplicemente non pubblicandole ha un suono più falso delle campane fesse. Laddove fosse accertata la fuga di intercettazioni ancora coperte dal segreto investigativo, sarebbe bene che a pagare fossero i responsabili della fuga di notizie, non certo i giornalisti che ne vengono messi al corrente. Nel caso poi di pubblicazioni di conversazioni ritenute irrilevanti, è bene ribadire che anche qui la legge già regola la materia. Per essere pubblicabili, le intercettazioni devono rispettare il criterio di rilevanza sociale e il principio di essenzialità dell’informazione. In caso contrario possono consistere in illecito penale, diffamazione o violazione della riservatezza, ad esempio. È evidente, quindi, quanto l’intento del legislatore sia, ancora una volta, diverso da quello che ci vogliono dar a bere. Il casus belli che ha portato questo governo a muover guerra ai giornali è sotto gli occhi di tutti. Perciò non c’è da sorprendersi se pensa di risolvere i problemi dando alla guardia il piede di porco e al ladro le manette.

Il dato peggiore, però, è che sulla legge bavaglio sarà probabilmente apposta la fiducia. In tal caso, per mettersi al riparo dai franchi tiratori che allignano nel voto segreto, il voto palese porterebbe la maggioranza a serrare le fila, e ad approvare una legge chiaramente incostituzionale pur di rimanere attaccata alla poltrona o di non attirarsi le ire e le vendette degli alleati. Questo Berlusconi lo sa, dacché gli è giunta l’eco dei molti mal di pancia che animano il suo partito. Se Scajola, Pisanu e Formigoni non esitano a mandare messaggi pubblici in cui manifestano dubbi sul proseguimento della legislatura, vuol dire che nei corridoi del Palazzo i malumori nel Pdl cominciano a prendere davvero una consistenza non trascurabile. E il Presidente della Camera Gianfranco Fini lo ha ribadito nella trasmissione di Corrado Formigli su La7, dichiarando che non sono pochi quelli che vanno da lui a dirgli: “Di Berlusconi non se ne può più”.

L’unica via per uscire da questo pantano è il tradimento. Ora che (per fortuna) non c’è più, si avverte un po’ di nostalgia della Democrazia Cristiana, i cui esponenti in certe pratiche erano particolarmente esperti e sotto il tavolo arrivavano persino a stringere la mano al loro nemico, mentre con l’altra, da sopra, gli mostravano il pugno. È necessario un atto di responsabilità che se i nostri politici lo facessero davvero sarebbe giusto definire rivoluzionario. Che vi sia il voto palese è di poco conto. È urgente che i nostro politici lo tradiscano, glielo dicano chiaramente in faccia che non intendono trascinare il paese nel baratro. Loro, che quella faccia l’hanno già persa, hanno il dovere di farlo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.202) 8 ottobre 2011 20:07

    Distinguo >

    Come impostato il tema intercettazioni appare scontro di classe. La classe dei Vip, dei ricchi e dei potenti.
    E’ noto che il fattore tempo incide sostanzialmente sulla “rilevanza” o meno di una notizia. Non consentire, in nome della privacy, la “tempestiva” pubblicazione anche solo della sintesi di intercettazioni effettuate a norma di legge è un modo “sofisticato” per depotenziare, se non annullare, il loro intrinseco livello di impatto.

    Ben diversa è infatti la “reazione” innescata dalla conoscenza di fatti e di opinioni tuttora “contingenti” piuttosto che ormai temporalmente “remoti”.
    Basti pensare ai segreti svelati da Wikileaks.
    Per giunta si dà così tutto il tempo per attivare le opportune “contromisure” atte a neutralizzare, in anticipo, le previste conseguenze dell’attesa pubblicazione.

    Tutti aspetti riguardanti solo dei soggetti esposti a problemi di immagine e consenso.
    Soggetti per i quali la rivendicazione del comune diritto alla privacy suona come controsenso e richiama i connotati di un Dossier Arroganza

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