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Il Piazzale Loreto dell’Italia berlusconiana

Una volta, Ugo Ojetti disse a Montanelli: “Figlio mio, ti accorgerai anche tu che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri. Perciò, senza memoria”. Non si trova, ad oggi, definizione che si attagli meglio al nostro popolo. E a rinforzo di questa tesi si può portare l’esempio che stiamo vivendo in questi giorni: le dimissioni di Berlusconi

Nei momenti di festa, quei pochi che in Italia ci vengono concessi, i guastafeste sono sempre guardati di sbieco, anche perché non avendo storicamente mai avuto molto da festeggiare, ci si lascia andare a leggerezze che coi cinici seccatori mal si conciliano. Ma qualcuno, questo turpe ruolo, lo deve pur ricoprire.

Le dimissioni di Berlusconi, salutate dalle piazze come una riedizione del 25 aprile, hanno scatenato un’euforia condivisa, certamente attesa, probabilmente poco meritata. Intendiamoci, che Berlusconi se ne sia finalmente andato non può che essere considerato un bene per la nazione. Quello che invece sfugge allo spirito critico popolare, e anche a molti intellettuali, è la ragione per cui ha lasciato la scena. Ed è bene metterlo in chiaro sin d’ora, a scanso di tutti i tentativi politici di mettere il cappello su una presunta vittoria che a tutti può appartenere fuorché ai partiti: le dimissioni di Berlusconi ci sono state imposte dai mercati. Insomma, come in tutti i momenti di forte criticità che il nostro paese si è trovato ad affrontare, l’ancora di salvezza è stata gettata da un’altra nave, non dalla nostra. In questo caso, è bene ripeterlo, i mercati hanno fatto la parte che avrebbe dovuto giocare la nostra classe politica, che come al solito ha dato buca. Come da prassi.

Non per scadere nei luoghi comuni, ma la Storia ama ripetersi, e nel nostro paese lo fa anche con singolare sadismo. Lo si è visto con il Fascismo, sulla cui fine si può dar credito a qualsiasi tesi, meno che a quella per cui noi italiani abbiamo giocato un ruolo determinante. Del fascismo ce ne liberammo grazie agli americani, il contributo dei partigiani fu certamente lodevole da un punto di vista patriottico, ma da quello pratico fu solo una timida spallata a fronte della caterva di scoppole ricevute. I nazisti li avrebbero crocifissi lungo la via Appia, come Crasso fece con Spartaco e il suo esercito, se non fossero intervenuti gli Alleati. A noi, insieme all’ammirevole prova dei partigiani e alla retorica, che in Italia non tramonta mai, è rimasto sul groppone Piazzale Loreto, forse la pagina più triste della nostra Storia, e per questo la più taciuta. Un popolo che fino al giorno prima si era privato dei suoi averi più preziosi per sostenere lo stato fascista, ora sputava e inveiva sui cadaveri dei suoi gerarchi, in uno sventurato tentativo di recuperare una verginità politica oramai persa.

E lo si vide subito dopo, quando una larga fetta dell’elettorato italiano tentò di affidare, alle elezioni del ’48, il mandato politico al Partito Comunista di Togliatti, che altro non era se non un facsimile di quello stalinista. Allora si riuscì a mettere una pezza prima di creare la falla solo e unicamente grazie alla Chiesa, di cui in quell’occasione ci dobbiamo considerare debitori. È un merito che, se si vuole rendere un servizio alla propria onestà intellettuale, è doveroso riconoscerle. La Chiesa scese in politica, fiancheggiata non solo dall’associazionismo cattolico, ma dalle parrocchie, dagli oratori, da qualsiasi succursale del suo ascendente fideistico per arginare la deriva comunista a cui l’Italia si apprestava ad allargare le braccia. E sebbene l’ingerenza della Chiesa negli affari interni italiani sia di certo un valido motivo per criticarla, quella volta fu provvidenziale. Ma ci salvammo per un intervento esterno, non certo da noi.

E lo si è visto, ancora, con Tangentopoli. Quando la classe politica, non essendo capace di ripulirsi da sola, fu travolta dall’ondata di inchieste di Mani Pulite. Venne fuori tutto il marcio, il cui lezzo promanava da qualsiasi struttura dello Stato, da qualsiasi ente, da qualsiasi sede di partito. E ci si provò a guarirla, quella classe politica, attraverso l’attività dei magistrati, nonostante i politici facessero fronte compatto per salvaguardare i propri interessi e la propria licenza di delinquere. Anche stavolta, tocca riconoscere, l’opera di risanamento fu tentata da un potere esterno a quello politico, la magistratura. Il risultato lo abbiamo visto nel ventennio successivo, di cui oggi ci accingiamo a raccogliere l’eredità e il peso. Il frutto malato di Tangentopoli è stato Berlusconi, non tanto la causa della mancanza di una coscienza politica nazionale, quanto l’effetto. Perché? Perché gli italiani non sono mai stati capaci di risollevarsi da soli, con le sole loro forze. Hanno sempre aspettato che l’uomo della Provvidenza venisse da fuori a salvarli. Gli Alleati, la Chiesa, Mani Pulite, Berlusconi, sono tutti la vergognosa attestazione dell’inadeguatezza tutta italiana a venir fuori dalle difficili situazioni facendo appello alla sola ragione dei suoi cittadini e di chi li rappresenta.

E se qualcuno oggi paventa il pericolo per la democrazia, minacciata da un governo di tecnici estranei ai partiti politici e quindi non “eletti dal popolo”, è meglio che taccia. Oggi la politica non è in grado da sola di fare tutto l’indispensabile per evitare il fallimento del paese, lo ha dimostrato abbondantemente portandoci sull’orlo del baratro su cui oggi vertiginosamente ciondoliamo. È meglio quindi che ceda il passo a persone la cui credibilità risulti ancora intatta, e ripensi a quanto poco e male ha fatto dal dopoguerra ad oggi. E si ripresenti alle prossime elezioni con una faccia nuova. Oggi è il momento di farsi da parte, domani il mondo politico avrà di certo un’altra possibilità. Per converso, la società civile non è meno colpevole. Nessun lancio di monetine, nessuno sputo o dito medio domani potranno ravvivare la dignità degli italiani, il cui spirito critico si sveglia sempre con netto ritardo rispetto agli eventi. Gli italiani, è bene ricordarcelo, non solo hanno assistito a questo scempio che dura da diciotto anni, ma hanno contribuito fortemente acché avvenisse. Fa bene più all’amor proprio che alla propria onestà morale appostarsi fuori dai palazzi o nelle piazze per berciare e inveire contro i politici, mentre per tutta una vita si è stati silenziosamente testimoni o finanche sostenitori. Così come nel ’45 si faticava a trovare dei fascisti, oggi si fatica a trovare dei berlusconiani.

Quella di sabto non è stata una vittoria degli italiani. Fosse stato per noi, Berlusconi ce lo saremmo tenuto fino a quando il Padreterno non lo avesse chiamato a sé. Al massimo può essere considerata una vittoria di Pirro, sulla quale noi cittadini, al pari dei politici, non possiamo mettere il cappello. Abbiamo assistito a un altro Piazzale Loreto,  seppur in chiave postmoderna e parecchio annacquata. Speriamo di non dover più vedere di queste scene per il resto della nostra storia. Ne abbiamo già viste abbastanza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Truman Burbank (---.---.---.133) 14 novembre 2011 23:35
    Truman Burbank

    Bah, negli accordi di Yalta l’Italia era assegnata all’occidente, e Stalin e successori hanno sempre rispettato gli accordi.
    Con tutto il rispetto per la DC, che più tempo passa e più apprezzo, il pericolo comunista in Italia non c’è mai stato. La cartina di tornasole fu il sequestro Moro, gestito dalla CIA, che fu accettato dal PCI facendo finta che fossero le BR. L’URSS aveva fatto sapere di stare zitti e buoni. E la sinistrà subì passivamente una sconfitta epocale.

  • Di L’olandese volante (---.---.---.238) 15 novembre 2011 00:35
    L'olandese volante

    E’ vero quello che dici, secondo gli accordi di Yalta l’Italia era assegnata all’Occidente. Infatti i carri armati sovietici non si spinsero mai fin da noi. Ed è vero che non c’era - questo lo possiamo dire oggi - molto di cui preoccuparsi, per quello che riguarda le sfere più alte del Partito comunista. Gli apparatchik di spicco, in particolare i vari segretari di partito, Togliatti, Longo e Berlinguer, hanno praticato una politica di lento allontanamento da Mosca, fino al famoso "strappo". Ma è pur vero che ci si preoccupò anche molto, ed era doveroso preoccuparsi, non tanto degli uomini più in vista del partito, quanto della sua base, che era ferventemente stalinista, questo è certo. L’Urss si attenne a Yalta, non invadendo l’Italia, ma è impensabile che, laddove i comunisti avessero ottenuto il potere per via democratica, l’Urss avrebbe storto il naso, tutt’altro. A cosa servivano, altrimenti, i finanziamenti sovietici al Pci? E un’altra prova dell’evidente preoccupazione di tutto l’Occidente per le vicende italiane fu certamente Gladio.

  • Di paolo (---.---.---.130) 15 novembre 2011 10:24

    Caro Olandese ,la comparazione storica che ci proponi è suggestiva e per molti aspetti anche condivisibile . Evidenzia non soltanto la memoria storica corta degli italiani che ci procura un mare di guai ma anche l’incapacità di diventare un "popolo" nella accezione vera del termine.

    Il problema italiano è proprio quello di non essere un "popolo" ma una accozzaglia di popoli con profonde disomogeneità storiche e culturali .
    Siamo un Belgio in scala maggiore con l’aggravante di tanti stati incapsulati uno dentro l’altro come una matrioska ,per cui è praticamente impossibile risalire al garante unico della sovranità nazionale ,all’indirizzo n.1 che teoricamente è Napolitano.Ci sono regioni d’Italia che di fatto non sono sotto la sovranità nazionale ,c’è il peso di una coercizione religiosa che intossica il confronto politico ,non c’è mai stata una vera resa dei conti dopo le vicissitudini politiche e storiche che hanno attraversato questo paese ,dal fascismo al craxismo ed ora al berlusconismo ,non si riesce mai a capire chi è il responsabile , di cosa e conseguentemente il prezzo che deve pagare .Riciclarsi è lo sport nazionale.
    Insomma una brodaglia in cui tutti colpevoli nessuno colpevole , per cui oggi Silvio Berlusconi può farsi passare come un "generoso" che ha fatto un passo indietro in nome dell’interesse superiore del paese,quando anche i più bischeri hanno capito l’opportunismo di una scelta (inevitabile)che ci nasconde altri dispiaceri per il futuro prossimo .Oppure Bossi che ha governato con l’uomo di Arcore (sul quale è bene ricordarlo ha detto di tutto e di più ,compreso che è un mafioso) ,ciarlando come fosse all’opposizione esprime un’altra fetta di paese con una deriva culturale preoccupante se si pensa che siamo nell’era dell’informatica avanzata e certe parole d’ordine dovrebbero ormai appartenere al passato remoto , alla notte dei tempi.

    La sostanza è che questo "individualismo irresponsabile " italico ,che è stata e forse è ancora la nostra fortuna e che ci contraddistingue per la "genialità" riconosciutaci universalmente ,ci impedisce di avere una "disciplina  civile" comune,con tutto ciò che ne consegue e che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.
    Amara riflessione ,speranze poche.

    ciao

  • Di L’olandese volante (---.---.---.65) 15 novembre 2011 13:35
    L'olandese volante

    Concordo su tutto!

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