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Le regole del successo

 Confronto tra un’idea di successo di vent’anni fa e quella oggi vigente

Esistono libri che vengono classificati nella categoria del self-help, l’auto-aiuto. Stephen Covey, nel 1989, ne scrisse uno intitolato The 7 Habits of Highly Effective People (trad. it. Le sette regole per avere successo, Milano, FrancoAngeli 2003). Si indicavano due passaggi principali da compieredalla dipendenza all’indipendenza - corrispondente al successo privato - e dall’indipendenza all’interdipendenza - corrispondente al successo pubblico.

Ognuno di questi passaggi implicava tre criteri d’azione. Per passare dalla dipendenza all’indipendenza si suggeriva di:
1) essere proattivi, superare cioè l’atteggiamento di passività di fronte alla vita;
2) cominciare dalla fine, vedersi così come si vorrebbe essere al termine dell’esistenza;
3) dare la precedenza alle priorità, non permettere al secondario di prendere il sopravvento sul primario.

Questa fase veniva sintetizzata nell’immagine dell’affilare la lama.
Per passare dall’indipendenza all’interdipendenza, si consigliava di:


1) evitare la mentalità del “o vinco io o vinci tu” in favore di quella del “vincere/vincere“, ossia del raggiungere insieme gli obiettivi;
2) imparare a far precedere la comprensione dell’altro alla pretesa di essere capiti: prima capire e poi farsi capire;
3) abituarsi ad agire in sinergia e non in contrapposizione.

Questa seconda fase veniva sintetizzata nell’immagine del trovare la propria voce e ispirare gli altri a trovare la loro. Mi parve uno schema ragionevole, anche se la lettura del testo fu ardua a causa della prolissità dell’autore.

A distanza di anni, mi sembra che l’idea di successo proposta da Covey sia più sana di quella da cui siamo circondati e quasi assediati ai nostri giorni: il successo come dominio sull’altro, come antagonismo esasperato, traguardo da conseguire con ogni mezzo, lecito o illecito.

Oggi, 25 aprile, mi chiedo se non sia il caso di liberarsi da quest’altra dittatura.

Commenti all'articolo

  • Di Deborah (---.---.---.24) 26 aprile 2009 09:44

    Solo per il fatto che sto per laurearmi in psicologia devo dire che sono abbastanza d’accordo con l’autore, però diciamo che ogni persona è una terra inesplorata e va osservata attentamente e non credo si possa precostituire un modello, sulle regole del successo, adattabile ad ogni essere umano! Insomma non siamo un computer da poter riprogrammare facilmente! Il titolo attira l’immaginario collettivo ed è una bella trovata pubblicitaria perchè tutti, in modi diversi, anzi personali, vogliamo avere successo nella vita! Mi sembra però interessante parlare dell’indipendenza e dell’interdipendenza....se ci facciamo caso sembra che l’autore ci stia invitando ad uscire da noi stessi, dai nostri schemi per andare verso l’altro con spontaneità e per fare ciò ci chiede solamente di avere coscienza dei nostri limiti (ad es. il sentirsi dipendente) avendo un atteggiamento positivo e costruttivo che guarda al successo. Bisognerebbe soffermarsi sul fatto che il successo può attivare diverse dinamiche psicologiche (ad es. senso di colpa ecc.) ma non mi sembra questo il luogo per parlarne! Rispolverando Pascal, possiamo dire che nel nostro cervello la parola "come se" è uguale a "è", quindi se vogliamo avere successo bisogna comportarsi come se fossimo persone di successo! Parlando a livello spirituale, mi viene in mente una frase del Fondatore dei missionari/e Identes di Cristo Redentore che invita tutti a guardare la terra dal Cielo e non il Cielo dalla terra! Significa, per me, capovolgere il proprio vertice di osservazione: io non mi osservo in me stesso, cioè non mi chiudo in me stesso per capire qualcosa di me, ma cerco di guardarmi dal Cielo racchiuso nel nostro spirito inabitato dalla Santissima Trinità. Il successo arriva con la consapevolezza e l’accettazione dei propri limiti osservati attraverso la Divina Misericordia...è questo che ci rende tutti fratelli, è questo che ci apre verso l’altro con Amore! So che per un esegeta come te, Fabrizio, ciò che sto per scrivere potrebbe rappresentare una bella provocazione, ma questo uscire da se stessi non è forse una piccola estasi? Mirabile esempio di vita estatica lo troviamo in San Giuseppe, un uomo, che pur osservando con dolore il proprio limite umano, ha saputo, presumo con grande sforzo ascetico, accettare l’impossibile senza chiudersi nei propri pensieri ma uscendo da sè e aprendosi a Dio: "Perchè l’estasi non è soltanto restare fuori dei sensi per la gioia del contemplare visioni di Paradiso. é estasi- e, anche da un punto di vista spirituale, molto più profonda della prima- questo esser astratti dal dolore morale oltre che da quello della vita materiale, ma senza perdere i sensi, dal parlare con Me (Cristo) o dall’udirmi parlare. é più profonda perchè è opera unicamente dell’amore. ......
    L’estasi contemplativa è molto opera del volere di Dio, che vuole che una sua creatura abbia la visione di cose celesti, o per maggiormente attrarla a Sè, o per premiarla del suo amore. Questa estasi, invece, di fusione anzichè di contemplazione, è opera compiuta di iniziativa dalla creatura innamorata, giunta a tale potenza d’amore da non nutrirsi, respirare, agire che con l’amore e nell’amore. è la fusione." ( M. Valtorta, I quaderni del 1943, 11 ottobre, C.E.V., Isola Liri).

    • Di La Poesia e lo Spirito (---.---.---.15) 26 aprile 2009 16:15
      La Poesia e lo Spirito

       hai fatto una bella analisi dal punto di vista della fede, Deborah.
      in fondo, tutto dipende dall’idea che si ha di successo.
      le mie regole preferite al riguardo, sono queste:
      1. Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli.

      2. Beati gli afflitti, perchè saranno consolati.

      3. Beati i miti, perchè erediteranno la terra.

      4. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perchè saranno saziati.

      5. Beati i misericordiosi, perchè troveranno misericordia.

      6. Beati i puri di cuori, perchè vedranno Dio.

      7. Beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio.

      8. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perchè di essi è il regno dei cieli.

      un abbraccio e grazie!
      fabrizio

  • Di giorgio (---.---.---.221) 28 aprile 2009 13:04
    Ho sentito un fraticello dire pressappoco così:
    “Quando mi alzo il mattino, ringrazio il Signore con gioia per il dono della vita e quando mi corico la sera, Gli riconsegno con gratitudine tutto ciò che in essa e con essa mi è stato donato.”
    Si tratta in fondo del servo inutile. “IN-UTILE”, valgo per me stesso, al di là di quello che produco, per il solo fatto esisto (anche se malato!).
     
    Questa mi sembra l’idea vincente!
    Con affetto
     
     
  • Di titti (---.---.---.92) 2 maggio 2009 20:10

    Il successo, cos’è veramente?
    Mi chiedo oggi che cosa bisogna sacrificare di sè stessi per raggiungere il successo..per essere persone vincenti, affermate nella società, rispondenti a quei profili professionali ed umani che ci vengono proposti come validi e come oggetto di comune approvazione.
    Mi domando se nel sistema educativo attuale, nelle scuole e nelle famiglie, si faccia attenzione al valore dell’individuo, alle vere aspirazioni del cuore, se si riesca a coltivare con amore quel seme che è involucro prezioso dell’identità personale, e che racchiude i sogni e i progetti di una vita.
    Mi rifaccio a Carl Gustav Jung, ai suoi insegnamenti a me tanto cari, quando dice che la personalità tende ad evolversi oltre i confini dell’inconscio per sperimentare sè stessa come totalità....in questa ottica, si diventa persone di successo solo se si riesce a coniugare l’io con il sè, cioè se i fattori inconsci che contengono in germe i tratti salienti della personalità riescono a trovare voce, corpo ed espressione attraverso il comportamento soggettivo: è come un seme di quercia che pian piano si tramuta in albero, non importa come e quando arriverà al traguardo, quanto spesse saranno le sue fronde, quanto possente sarà il suo tronco, quanta ombra riuscirà a dare, se si svilupperà su un terreno accidentato o pianeggiante, perchè quello che conta è che cresca in tutta la sua potenzialità, che si espanda in pieno e che risponda fedelmente a quel progetto primario che lo conteneva e lo custodiva.
    Una società moderna e dinamica non può non basarsi sul rispetto dell’individuo: è come quell’immagine bellissima promossa da Erich Fromm nel famoso libro " avere o essere": dovremmo imparare ad ammirare il fiore nel campo, ad accoglierne il profumo, il colore e la freschezza, senza reciderlo, dovremmo amarlo come uno dei tanti splendidi aspetti della natura, senza che questa venga manipolata o posseduta; se si riuscisse a promuovere la cultura dell’essere forse varierebbe l’idea di successo oggi imperante: saremmo forse meno vittime di vuoti stereotipi con i quali spesso non abbiamo niente a che vedere, di angosciose nevrosi, di ansia e di solitudine...
    Se solo riuscissimo a dare ascolto ai sogni, che fino alla morte tentano di ricucire le lacerazioni di una vita, e di mostrarci la strada per fiorire nella pienezza e nella bellezza come la quercia frondosa, allora capiremmo cos’è il vero significato del successo: non una banale ricerca di autoaffermazione a tutti i costi, ma la ricerca della verità del cuore, forse poco sfavillante e rumorosa, ma molto più proficua e feconda nel faticoso cammino che percorre l’individuo per trovare sè stesso.
     

  • Di La Poesia e lo Spirito (---.---.---.168) 5 maggio 2009 22:23
    La Poesia e lo Spirito

    grazie amici.
    Titti, sono felice delle tue considazioni junghiane, che mi trovano totalmente d’accordo.
    speriamo che nasca una società nuova, capace di far nascere in ognuno la propria vera voce.
    un abbraccio
    fabrizio

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