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Commento di Deborah

su Le regole del successo


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Deborah 26 aprile 2009 09:44

Solo per il fatto che sto per laurearmi in psicologia devo dire che sono abbastanza d’accordo con l’autore, però diciamo che ogni persona è una terra inesplorata e va osservata attentamente e non credo si possa precostituire un modello, sulle regole del successo, adattabile ad ogni essere umano! Insomma non siamo un computer da poter riprogrammare facilmente! Il titolo attira l’immaginario collettivo ed è una bella trovata pubblicitaria perchè tutti, in modi diversi, anzi personali, vogliamo avere successo nella vita! Mi sembra però interessante parlare dell’indipendenza e dell’interdipendenza....se ci facciamo caso sembra che l’autore ci stia invitando ad uscire da noi stessi, dai nostri schemi per andare verso l’altro con spontaneità e per fare ciò ci chiede solamente di avere coscienza dei nostri limiti (ad es. il sentirsi dipendente) avendo un atteggiamento positivo e costruttivo che guarda al successo. Bisognerebbe soffermarsi sul fatto che il successo può attivare diverse dinamiche psicologiche (ad es. senso di colpa ecc.) ma non mi sembra questo il luogo per parlarne! Rispolverando Pascal, possiamo dire che nel nostro cervello la parola "come se" è uguale a "è", quindi se vogliamo avere successo bisogna comportarsi come se fossimo persone di successo! Parlando a livello spirituale, mi viene in mente una frase del Fondatore dei missionari/e Identes di Cristo Redentore che invita tutti a guardare la terra dal Cielo e non il Cielo dalla terra! Significa, per me, capovolgere il proprio vertice di osservazione: io non mi osservo in me stesso, cioè non mi chiudo in me stesso per capire qualcosa di me, ma cerco di guardarmi dal Cielo racchiuso nel nostro spirito inabitato dalla Santissima Trinità. Il successo arriva con la consapevolezza e l’accettazione dei propri limiti osservati attraverso la Divina Misericordia...è questo che ci rende tutti fratelli, è questo che ci apre verso l’altro con Amore! So che per un esegeta come te, Fabrizio, ciò che sto per scrivere potrebbe rappresentare una bella provocazione, ma questo uscire da se stessi non è forse una piccola estasi? Mirabile esempio di vita estatica lo troviamo in San Giuseppe, un uomo, che pur osservando con dolore il proprio limite umano, ha saputo, presumo con grande sforzo ascetico, accettare l’impossibile senza chiudersi nei propri pensieri ma uscendo da sè e aprendosi a Dio: "Perchè l’estasi non è soltanto restare fuori dei sensi per la gioia del contemplare visioni di Paradiso. é estasi- e, anche da un punto di vista spirituale, molto più profonda della prima- questo esser astratti dal dolore morale oltre che da quello della vita materiale, ma senza perdere i sensi, dal parlare con Me (Cristo) o dall’udirmi parlare. é più profonda perchè è opera unicamente dell’amore. ......
L’estasi contemplativa è molto opera del volere di Dio, che vuole che una sua creatura abbia la visione di cose celesti, o per maggiormente attrarla a Sè, o per premiarla del suo amore. Questa estasi, invece, di fusione anzichè di contemplazione, è opera compiuta di iniziativa dalla creatura innamorata, giunta a tale potenza d’amore da non nutrirsi, respirare, agire che con l’amore e nell’amore. è la fusione." ( M. Valtorta, I quaderni del 1943, 11 ottobre, C.E.V., Isola Liri).


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