Vi fu un tempo in cui l’economia mondiale era in crisi per l’impennata del prezzo del petrolio (contrariamente a quanto sta accadendo con l’attuale di crisi, che lo ha fatto colare a picco).
All’epoca, sui mercati finanziari, vagavano forti masse di quelli che venivano chiamati petrodollari, le bilance commerciali dei Paesi industrializzati erano pesantemente in rosso e tutte le loro energie erano dedicate a farli rientrare, questi petrodollari.
Fu così che il vostro reporter si ritrovò a lavorare nel deserto saudita o nel bush africano.
Nel primo ha lavorato, oltre che insieme ad altri connazionali, insieme a maestranze yemenite ed indiane, e nel cantiere vi erano tre distinti compound, uno per ogni nazionalità.
Gli indiani giungevano in gruppi di una ventina ed erano adibiti ai lavori più pesanti, facevano insomma da manovali, da uomini di fatica.
Subito arrivati non riuscivano a lavorare bene, dovevano trascorrere qualche giorno a mangiare ed a recuperare le forze.
Insomma, quelli che giungevano al campo indiano, prima di riuscire a lavorare, dovevano fare una cosa che da chissà quanto tempo non riuscivano a fare: mangiare a sazietà.
Anche in Nigeria non tutti riuscivano a mangiare a sazietà; e lì il problema, con assoluta certezza, lo avevamo portato noi bianchi, che avevamo introdotto, fra le tante cose, la moneta.
L’africano del bush non aveva nella sua cultura questo tipo di valore e, nel suo villaggio, del denaro non avrebbe proprio saputo cosa farsene.
La sopraggiunta necessità di procurarselo aveva su queste popolazioni un impatto veramente devastante; qualcosa di simile a quello che dovette avere per gli amerindi, dal punto di vista fisico, l’arrivo del vaiolo portato dai colonizzatori spagnoli.
Le classi più deboli riuscivano a malapena a procurarsi, ogni giorno, il denaro per acquistare un pane e qualche frutto e, per non sentire la fame e la stanchezza, masticavano la radice della cola, una sorta di tubero dotato di un qualche effetto allucinogeno.
Queste realtà, dopo tanti anni, potrebbero in qualche modo essere cambiate, ma, all’epoca, non ve ne era alcuna veduta; e se anche le cose in questi Paesi sono mutate, con ogni probabilità lo sono non per tutti e non allo stesso modo.
Ecco da dove provengono i migranti, che sbarcano sulle nostre spiagge; e dobbiamo essere tutti consapevoli che siamo noi la causa prima del loro migrare: proprio come ha scritto John Donne, Nessun uomo è un’isola ….
Per queste ragioni, il nostro dovere alla solidarietà nei loro riguardi è assoluto.
Se qualcuno li vuole accogliere a suon di detenzione in centri di prima accoglienza, di ronde, di denunzie di medici e di presidi, sappia che, con assoluta chiarezza, non tutti siamo d’accordo.
Commenti all'articolo
Di Giorgio
(---.---.---.112)7 maggio 2009 07:36
Io penso che di articoli del genere se ne dovrebbero fare molti, ma molti di piu’...Questo è un giornalismo fatto anche da esperti di settori e non da giornalisti che ignorano anche i termini tecnici . Ho visto che ultimamente si e’ partito con il mostrare i mali che attanagliano l’uomo di mare. Il quadro la e’ ben azzeccato, ma non ancora completato. Questo è il vero giornalismo che si attendeva.... chiamarlo citizen journalism mi sembra un po’ riduttivo..anzi troppo...Bisogna continuare a mostrare le piaghe di questa societa’ martoriata dall’egoismo, dall’ipocrisia e da una insana ricerca di poteri..Scrivete su questi poveretti..Fate capire anche che molti di questi prima di arrivare su quei barconi sono stati costretti a schiavizzarsi non appena varcato la soglia del proprio paese...Dietro le spalle di quei poveretti ci sono storie che noi occidentali ritieniamo escano dai limiti del possibile...Scrivete e non fermatevi voi avete un compito da portare avanti, ognuno di voi ha una missione e cioè quella di far cadere le barriere della ipocrisia...scrivete...Ottimo articolo!!!
Di Bernardo Aiello
(---.---.---.241)7 maggio 2009 10:56
Credo che vi siano più modi di vedere il mondo : da turisti, da economisti, etc., ed anche da giornalisti ; ed anche da comuni cittadini.
E non è la stessa visuale.
Chi scrive da giornalista, vede il mondo da giornalista ; chi scrive da comune cittadino, lo vede da comune cittadino.
In quest’ultimo caso si hanno anche a disposizione una serie praticamente infinita di punti di visuale, ciascuno connotato dalla specifica particolare esperienza del comune cittadino che scrive.
Oggi, iniziative come Agoravox consentono anche al comune cttadino di scrivere e di dire quello che vede.
Purtroppo, accanto ai giornalisti, agli economisti, ai comuni cittadini, etc., vi sono anche gli uomini politici di mestiere ; ai quali non è mai capitato di andare a letto con la pancia vuota, hanno un cospicuo conto in banca e che sono tutti felici quando riescono a rimandare i migranti ai posti di origine, ossia all’inferno della fame.
Bernardo Aiello