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La vicenda di Romano Iaria nel carcere di Sulmona

La vicenda di Romano Iaria nel carcere di Sulmona

A volte accade, dietro le spesse pareti di cemento, dietro le porte d’acciaio, dietro le sbarre metalliche, che la paura prenda un aspetto inaspettato, quello della paura di vivere. E’ successo a Romano Iaria, detenuto nella sezione internati del carcere di Sulmona, ma succede spesso nelle nostre carceri. Di solito sono detenuti che sfruttano le occasioni di lavoro all’interno della struttura carceraria per guadagnare qualche soldo da mandare a casa, che magari riescono a mantenere così la famiglia, che si chiedono cosa potranno mai fare quando finirà e dovranno andare via.
 
Perché non è stato l’affollamento delle carceri, come qualcuno potrebbe pensare, il motivo alla base del gesto estremo di Romano Iaria. Aveva avuto un permesso premio di quattro giorni da trascorrere a casa ed era uscito venerdì pomeriggio, venerdì Santo, ma era rientrato quasi subito, dopo un’ora: non ce la aveva fatta a rientrare a casa.
 
No, non è l’affollamento delle carceri, è un’altra cosa; non è facile dire cosa sia, ma di sicuro il risultato del nostro sistema, giudiziario e non, in questi casi, è quello di annientare queste persone. E ci si chiede se veramente è questo il sistema voluto dal popolo, se veramente le sentenze dei tribunali sono emesse in nome del popolo italiano, come è scritto in ogni aula di tribunale, e così via. Ed è anche sicuro che questo sistema non mette al centro l’uomo, mette al centro qualcos’altro.
 
A volte si perde in dotte disquisizioni fra “dolo eventuale” e “colpa cosciente”, degne del miglior Don Ferrante di manzoniana memoria, come è accaduto per Alessio e Flaminia uccisi a Roma dal SUV di Stefano Lucidi; e trascura l’elementare necessità che ognuno di noi, uscendo di casa al mattino, sappia cosa è giusto fare e cosa è sbagliato, e che poi ognuno si assuma le responsabilità del suo operato. Dalle nostre parti si agisce navigando a vista e poi viene un magistrato che decide a posteriori se quello che hai fatto è giusto oppure se è sbagliato; e le decisioni di due magistrati diversi sullo stesso fatto non sempre coincidono, sono come gli cioccolatini di Forrest Gump, non sai mai quello che ti capita.
 
A volte questo sistema impugna come un labaro la Carta Costituzionale, dove è anche scritto che La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, e poi condanna per decreto senza processo, con una vera e propria forma di giustizia sommaria da tribunale militare in tempo di guerra al fronte. E poi porta aventi indagini ed avvia processi lasciando passare anni senza neanche mai stare a sentire pubblicamente la voce dell’indagato o dell’imputato per consentirgli di dare la sua versione dei fatti. Tutto a difesa del segreto istruttorio, una sorta di segreto di pulcinella, che fa acqua da tutte le parti; tutto a difesa di procedure che, chissà perché, eccellono nel disprezzo dell’umanità.
 
C’è qualcosa di sbagliato nei cromosomi di questa nostra Italietta, nella sua stessa nascita risorgimentale in gran parte artefatta, imposta dall’alto e dall’esterno, non di popolo; nella stessa dinastia d’oltralpe che l’ha riunita; come se al suo popolo di suo mancasse qualcosa per affermarsi autonomamente in quanto tale. Chi ha detto Ora che l’Italia è fatta dobbiamo pensare a fare gli italiani? Chi ha detto Governare gli italiani non è difficile: è inutile? Ed ancora si sentono risuonare le fucilate del generale di Casa Savoia Bava Beccalis che spara sugli scioperanti di Milano, in tutto eguali a quelle del generale inglese Edward H. Dyer ad Amritsar, con la piccola differenza che gli inglesi sparavano sugli indiani colonizzati e non su loro connazionali; ed ancora si vede la medaglia appuntata sul petto del generale Bava Beccalis da Umberto I di Savoia, cui anche la città del vostro reporter dedica una via.
A questo punto, quando si è conosciuto questo sino in fondo, quando si è consapevoli di questo orrore, è sbagliato aver paura, è sbagliato aver paura di essere libero, è sbagliato aver paura di uscire da un carcere ? Romano Iaria ha deciso di no.

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