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‘La velocità del buio’ e altre questioni nei paraggi: alcune domande a Giorgio Fontana - I parte

Il 28 aprile per Editrice Zona viene pubblicato il libro ‘La velocità del buio’ di Giorgio Fontana (su Wikipedia).
 
Dal comunicato stampa:
"Giorgio Fontana - già apprezzato scrittore e giornalista – ha solo trent’anni. Ed è proprio questo elemento che conferisce a La velocità del buio un’importanza cruciale nel dibattito sull'Italia di oggi: per la prima volta in modo così ricco e articolato, un giovane intellettuale si misura con commentatori, storici e filosofi su questioni chiave per il presente e il futuro del Paese. E lo fa con urgenza civile e rigore argomentativo, senza cadere nelle trappole retoriche dell'opinionismo".
 
Su Il primo amore, Andrea Tarabbia ne scrive il 22 aprile proponendo alcuni stralci a altre annotazioni.
 
Il libro, 176 pagine a sedici euro, inizia con una premessa (‘Così me l’hanno raccontata’) per poi articolarsi in cinque sezioni (‘L’anomalia dell’anomalia’, ‘Silvio’, ‘Il berlusconismo come attacco a verità, razionalità ed etica’, ‘Il mito di Narciso’, 'Prima e ultima persona’) ulteriormente divise in brevi capitoli, quattro pagine di bibliografia e la nota dell’autore a spiegare (anche) genesi, precedenti pubblicazioni di brevi parti su alcune testate cartacee e on line, in particolare 'Il manifesto', 'lo Straniero', ilprimoamore.com e Nazione Indiana (ad esempio questo articolo su NI ma si possono rintracciare on line gli articoli di Fontana ad esempio del 2009 o del 2010).
 
In considerazione delle complessità e le vastità di argomenti trattati da Fontana, gli rivolgo alcune domande.
 
1.
Il 22 aprile hai pubblicato sul tuo blog una serie di spiegazioni, una sorta di risposta indiretta alla domanda: Perché hai scritto La velocità del buio? “L'ho scritto perché sentivo che mancava qualcosa del genere. [….] L'ho scritto perché fare l'intellettuale su Facebook a colpi di status e basta — mietendo folle di like e di commenti — non serve a niente. […]. L'ho scritto perché spero davvero, in tutta umiltà, che possa contribuire a comprendere meglio questi anni e delineare una prospettiva. Tracciare un arco per il futuro. L'ho scritto perché ho visto troppa gente farsi bella con l'intellettualismo radical chic e poi ragionare per cricche, conventicole e firme esattamente come fanno i loro presunti nemici (l’intero post rintracciabile QUI).
 
La scelta però, di elaborare un pamphlet dunque di ‘dire in prima persona’ con così ampie articolazioni di argomentazioni, ti pone nella condizione di prendere per mano il lettore, portarlo lungo un percorso da te definito. Non rischi di far perdere, al lettore, alcuni nodi centrali? Ma anche: assieme a citazioni, lucide analisi, osservazioni, ti senti in questo testo di proporre virate, un passo altrove rispetto a contesti e realtà che ricostruisci?

Spero che il lettore non si senta “perso”: ho messo molta cura nell’elaborare un percorso che fosse anche in qualche modo narrativo – una sorta di arco che parte con un inquadramento storico, prosegue analizzando la figura di Berlusconi, insiste sul problema del berlusconismo come modello dominante di comportamento per l’ultimo ventennio, e tira delle conclusioni su cosa fare.
Certo la carne al fuoco era parecchia, e ho dovuto compattare diversi punti: ma mi auguro che il lavoro non ne abbia perso in termini di completezza. Anche la scelta di usare paragrafi brevi è stata fatta in questo senso: per dare maggiore ritmo a un tema che di per sé rischia di essere poco “masticabile”.
Quanto alle virate, il succo del discorso è raccolto nell’ultimo capitolo. Ho scritto un libro di critica e di analisi più che di proposte concrete: ciò detto, ritengo sia indispensabile recuperare l’idea che seguire delle regole sia perfettamente compatibile con la possibilità di essere felici. Insomma, la buona vecchia ispirazione kantiana che si è veramente liberi soltanto quando si seguono dei doveri. Nel dettaglio, però, più che parlarne mi sembra necessario farlo, e farlo in prima persona, in modo da portare degli esempi concreti. Un gesto condiviso in questo caso vale molto più di duemila manifesti d’impegno.
 
Con che proporzione in questo libro “racconti la storia” (come scrivi tu stesso a chiusura del testo) e, invece (o contestualmente), ci stai dentro sentendo la storia sulla pelle?
 
Inevitabilmente la storia che racconto è la storia che ho anche vissuto, ma ho cercato di essere il più obiettivo possibile, senza lasciarmi andare all’aneddotica personale. I problemi ci sono e sono gravi, e toccano moltissimi di noi – me compreso. Ma fare lamentazioni non serve a niente, aggiunge solo caos al caos.
 
Da scrittore, non è possibile dire ciò che hai articolato nel libro avvalendoti però delle narrazioni e di ogni altro strumento potenzialmente tra le mani dello scrittore?
 
Sì, è esattamente quello che ho cercato di fare. E spero di esserci riuscito.
 
Cosa sono per te le 'narrazioni'? Non credi ci siano differenze tra narrare e scrivere con un approccio preciso, entro il genere che hai affrontato nel libro, il pamphlet?
 
Il problema della parola "narrazione" giace innanzitutto nell'uso smodato che si è fatto di questo concetto negli ultimi tempi (e il suo approdo in politica, da Obama a Vendola). Quindi, sgombrando il campo da equivoci, direi che per me la narrazione è semplicemente raccontare una storia: se questa storia è immaginaria, è narrativa; se questa storia è vera, è qualcos'altro (una "storia vera", appunto). Dal punto di vista prettamente stilistico, ho cercato di dare un taglio più fresco al tema, uscendo un po' dai paradigmi classici di scrittura saggistica (ma senza mai perdere di vista elementi come la citazione delle fonti, il rigore argomentativo ecc.) Insomma, non vedo contraddizione fra un approccio più narrativo e la precisione o l'accuratezza. Dopotutto anche un manuale di storia non fa nient'altro che raccontare.
 
 
2.
Una decina di giorni prima dell’uscita ufficiale, il 18 aprile, viene pubblicato on line il booktrailer del tuo libro su YouTube realizzato da Maria Erica Pacileo. Una produzione semplice rispetto alle mode che cercano spesso l’avvicinamento a spettacolarità cinematografiche per frame e musiche. Il protagonista del video, in sostanza, sei tu, il tuo viso illuminato da una luce, il resto è avvolto dall’oscurità. Ma è anche un’assunzione di responsabilità oltre il mero ‘metterci la faccia’. Dici nel booktrailer, leggendo stralci del libro, “ho trent’anni e questo è un problema”, “io scrittore di giovane età”, “è necessario che io scriva ora”.
Quanto c’è bisogno - prima di ogni altra cosa detta o fatta - di definire, rafforzare e sostenere il proprio ruolo specialmente in ambito culturale?
 
Mah, il booktrailer è uno strumento fondamentalmente di comunicazione, una sorta di mini-antipasto del libro. Ciò detto, non credo ci sia bisogno di definire il proprio ruolo a priori in un dato contesto: penso che tale ruolo si definisca da solo con quello che uno scrive. Non c’è necessità di mettere le mani avanti e dire “Okay, guarda che io sono un intellettuale, quindi ascoltami bene”. Anzi, a uno che mi parla così non darei molto credito. Invece di fare premesse di ruolo, è meglio mostrare di cosa si è capaci – e questo vale per tutti i campi.
 
 
3.
Nel libro scrivi: “per la cultura dominante l’intellettuale è la bestia nera. […] è molto scomodo: instilla dubbi, non appartiene a nessuna lobby, non può essere comprato, obbedisce solamente alla coscienza etica e alla ricerca del vero”.
Allora leggendoti e guardandoti nel booktrailer, mi sono chiesta: sei un intellettuale per definizione altrui o per ciò che ritieni di fare?
 
Diciamo che cerco di essere l’intellettuale che vorrei, e cioè solo in base a quello che faccio. Come dicevo, non credo molto alle etichette o alle consacrazioni per bocca altrui: credo nel valore espresso direttamente dal proprio lavoro. Quanto alla definizione di intellettuale in quanto tale, è un altro problema parecchio complesso di cui si è dibattuto tempo fa sul “manifesto” e al quale accenno nel capitolo che citi. Ma meriterebbe molte altre riflessioni ancora…
 
 
[Domani la seconda parte]
 
 
Ringrazio Giorgio Fontana.

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