• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > La svolta islamista della Turchia

La svolta islamista della Turchia

L’otto marzo ha rappresentato l’occasione per riscontrare come in tutto il mondo le donne subiscano ancora pesanti discriminazioni, spesso con il beneplacito della religione su questioni come la sessualità, la contraccezione, l’aborto e la libertà individuale. Anche per le donne turche è stato tuttavia il momento rivendicare una volta di più i loro diritti.

Va ricordato come la Turchia, stato di tradizione laica dai tempi di Kemal Ataturk, sia sempre più minacciato dell’islam più conservatore. Proprio il premier Recep Tayyip Erdogan, a capo del partito islamico AKP, è impegnato in prima linea proprio per scardinare la laicità e infiltrare massicciamente la religione islamica nelle istituzioni. Ma la strategia nei confronti delle donne è più sottile. Non solo con il ripristino della possibilità di indossare il velo in scuole, università, tribunali e uffici pubblici, ma anche con un’accanita lotta all’autonomia delle donne riguardo contraccezione e interruzione di gravidanza.

Già nel maggio 2012 il governo ha puntato a rendere più difficile l’aborto. Lo stesso Erdogan, aveva ostentato il suo integralismo sostenendo che “non c’è differenza tra uccidere un feto nel grembo della madre o uccidere una persona dopo la nascita”, e arrivando a paragonare l’aborto a un bombardamento che aveva fatto strage di civili nel villaggio di Uludere. Una linea nazionalista e familista in chiave islamica promossa dall’esecutivo per favorire la natalità demonizzando la scelta della donna. Le uscite del premier avevano suscitato diffuse preoccupazioni e le donne erano scese in piazza a Istanbul per protestare contro il fanatismo no-choice del governo.

Ma non sono finiti i problemi in Turchia per le donne, con altri casi recenti riportati da GlobalVoices che testimoniano l’involuzione della società. Alcune settimane fa un tribunale ha deciso il rilascio di Fatih Nerede, che aveva stuprato una donna di Diyarbakir e non era la prima volta che commetteva violenze sessuali. Secondo il medico legale infatti non sarebbe possibile stabilire “prima di 18 mesi” se la vittima ha subito un trauma psicologico.

Una ragazza di Bitlis, nel maggio del 2012, era stata violentata ed era rimasta incinta. Dopo sei mesi ha avuto un aborto spontaneo, ha seppellito il feto ma la storia è stata scoperta. Lei stessa ha rivelato lo stupro e il violentatore è stato riconosciuto come padre con il test del Dna sul cadavere. Anche in questo caso però la corte ha assolto l’uomo, per insufficienza di prove.

Per quanto riguarda il velo e la “moralità” femminile, la Turkish Airlines ha imposto nuove divise per le hostess sugli aerei. Di foggia tradizionale e con la gonna fin sotto il ginocchio. Proprio la compagnia di bandiera aveva già vietato gli alcoolici su diversi voli interni.

La decisione di reintrodurre il velo è stata accolta da molti occidentali con favore, perché amplia la libertà di scelta. Ma nel contesto turco contemporaneo indossare il velo non è (sempre) una libertà di scelta. Assume infatti il ruolo del simbolo identitario, quello che marca la differenza fra il “noi” e gli “altri”. Non è propriamente un gesto di libertà, ma piuttosto di adesione a un’ideologia, a un regime. E della Turchia attuale è giusto parlare come di un regime, con il pressing del governo non solo per islamizzare la società, ma in generale per ridurre le libertà (ad esempio, quella di stampa) e per criminalizzare gli oppositori nell’esercito e tra i giornalisti, accusati di complottare contro il governo. È pur vero che la rigida impostazione laica che aveva come garante l’esercito non è più al passo in Turchia con i cambiamenti profondi della società e con il riemergere dell’islam più integralista, che ha trovato espressione anche nel partito AKP saldamente al potere. Forse c’è bisogno in Turchia di una laicità che sia più sociale e che punti alla tutela dei diritti, specie quelli delle donne seriamente messi in pericolo.

Ma l’involuzione generale che coinvolge la società turca in questi anni è un campanello d’allarme. A febbraio il ministro (donna) per la Famiglia e le Politiche Sociali Fatma Sahin ha proposto la reintroduzione del turban (una variante dell‘hijab) per le deputate. Non a caso le donne che hanno cominciato a indossare il velo sono anche le stesse che operano giornalmente per negare i diritti alle donne stesse, anche nelle istituzioni. È quanto affermano le femministe turche. Bisognerebbe tenerne conto e non scambiare l’islamizzazione forzata della società turca per una battaglia di libertà. Le donne in Turchia scontano infatti ancora forti discriminazioni e vedono ridotti i propri diritti, sebbene la situazione sia relativamente migliore rispetto ad altri paesi islamici. Resistono ancora i matrimoni combinati e la violenza fisica, mentre le donne faticano ad avere indipendenza economica. E l’islamizzazione di ritorno promossa dal governo non promette niente di buono.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.97) 14 marzo 2013 15:34

    La turchia non è minacciata dall’islam conservatore, è la maggioranza del popolo turco che è islamica e conservatrice (e quindi il prossimo governo rispecchierà la maggioranza della popolazione). Questa é la democrazia signori, dovremmo fare come in Algeria nel 1992 ?

    alessandro Rossi

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares