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La speranza viene dai bambini

«Dimmi mà è vero che tutti gli altri sono uguali a me? E no non è proprio così. Hey mà, ma è vero che chi è più bianco è più forte di me? E sì sarà sempre così...».

Sono due strofe del testo di un canzone scritta da Gino Paoli. Un bimbo interroga la madre sul razzismo che permea la sua infanzia che condiziona la sua crescita che annebbia il suo futuro.

Scritta negli anni 80 echeggiava una problematica all'epoca abbastanza lontana dai nostri confini. Non era ancora caduto il muro di Berlino, non era ancora esploso il fenomeno dell'immigrazione di massa. Nessuno veniva ancora a "invaderci" da Sud o da Est. Oggi trent'anni dopo la situazione è radicalmente cambiata e di sicuro non si è fatto abbastanza per favorire nel nostro Paese una coabitazione positiva fra culture diverse, fra persone diverse che dovranno inevitabilmente a imparare a convivere "senza distinzione di razza, sesso, lingua e religione", come profeticamente enuncia la nostra cara vecchia Costituzione.

Mentre aspettiamo, come il bimbo della canzone, che questo si realizzi, accade di dovere registrare episodi che ci portano lontano dai nostri confini precipitandoci nella cupa atmosfera dell'apartheid. A Nord come a Sud. A Torino è bastato l'isterismo di una ragazzina per scatenare una caccia al rom stile Alabama («impicchiamoli al ramo più alto»). A Caserta è stata invece la cattiveria ex cathedra di una insegnante per gettare nello sconforto psicologico una studentessa undicenne di colore: «Ti do un voto più basso perché sei nera».

Anche se in quest'ultimo caso i compagni della bambina, senza timori, hanno ripetuto in coro alla preside le frasi pronunciate dalla prof. Questo farà piacere al presidente Napolitano che qualche giorno fa sollecitava piena cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia: i piccoli italiani sono già con lui. C'è speranza.

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