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La sciopericchio e la maturità del sindacato

Secondo le statistiche elaborate dall'OCSE, i lavoratori italiani, a fronte di settimane lavorative tra le più lunghe del mondo, hanno salari tra i più bassi.

Due dati che dovrebbero indurre proprio i sindacalisti a porre in dubbio il metodo di lavoro che hanno seguito in questi decenni; se loro compito era difendere gli interessi dei propri iscritti, è evidentissimo che hanno fallito.

Un fallimento che diventa ancora più evidente se si guarda al ruolo dei sindacati dentro la società; se, come me, si ritiene che organizzazioni tanto potenti (perlomeno potenzialmente), tanto strutturate e tanto capillarmente diffuse sul territorio quanto le nostre confederazioni sindacali, possano giustificare la propria esistenza solo se aspirano a rappresentare il mondo del lavoro nella sua completezza.

I lavoratori che sciopereranno oggi, per maggior vergogna dei nostri sindacalisti, sono dei privilegiati; sono i garantiti, nel pubblico impiego o nelle grandi imprese, cui si applica per intero lo statuto dei lavoratori. Una minoranza, specie tra i giovani, cui sono riservati tutti i diritti, mentre milioni d’italiani lavorano con diritti ridotti nell’artigianato e nel piccolo commercio, altri milioni svolgono, senza diritto alcuno, una qualche forma di lavoro nero legalizzato e altri milioni ancora lavorano in nero del tutto. Milioni di giovani, poi, non lavorano per nulla e per altri milioni, specie di donne, di lavorare, e soprattutto di lavorare vedendo rispettati tutti i propri diritti, non vi è alcuna speranza.

Una situazione che è solo il riflesso, nel mondo del lavoro, di una società che si è andata facendo sempre più iniqua; che, sempre secondo i dati dell’OCSE, negli ultimi decenni ha visto la ricchezza concentrarsi nelle mani di sempre meno. Dove la sperequazione, la differenza tra chi ha molto e chi ha poco, ha ormai poco a che vedere con quella dei paesi europei e si avvia ad essere simile a quella presente nelle società dell’America Latina.

E’ evidente che non si può imputare ai sindacati un simile stato di cose; è evidentissimo che hanno fatto troppo poco per prevenirlo. Sono certo sbagliati gli strumenti di lotta che il sindacato ha scelto in questi anni.

L’arma dello sciopero, in particolare, è stata usata malissimo e spesso completamente a sproposito. Penso in particolare ai grandi scioperi nazionali; quelli, di carattere “politico” che pare esaltino tanto i nostri sindacalisti. Chi danneggia, in prima battuta, lo sciopero? I lavoratori e le aziende. Giusto? La nostra è un'economia di mercato e certo non siamo in guerra; lo Stato subisce danni solo in seconda battuta e chi lo governa per conto nostro, di danni non ne subisce, in realtà, alcuno.

Mi vuole spiegare qualcuno perché, se si ritiene la manovra del governo Monti iniqua, oggi si sciopera? Che c’entra quella legge, per quanto ingiusta possa essere, con il datore di lavoro che dovrà registrare delle perdite? E’ lui al governo? Si chiama Monti, Fornero o Passera? Lo sciopero è sacrosanto ed è un'arma fondamentale nelle mani dei lavoratori per far valere i propri diritti; dovrebbe essere uno strumento da applicare, azienda per azienda e caso per caso, quando non c’è altro modo di far valere le proprie rivendicazioni.

Proprio per questo non ha senso sprecarlo in iniziative come quella dello sciopericchio nazionale di oggi; una specie di rituale sulla cui celebrazione si poteva contare qualunque, o quasi, fossero stati i contenuti della finanziaria. Un prezzo, peraltro piccolo, che certo il professor Monti sapeva già di dover pagare.

L’Italia, dopo essere sopravvissuta alla febbre adolescenziale del fascismo, è caduta in una trentennale crisi di mezz’età di cui quella del debito è solo il culmine; decenni in cui abbiamo smesso di progettare, come comunità nazionale, mentre l’orizzonte del nostro futuro si riduceva ad essere distante solo settimane o mesi. Un lento processo di degrado che è prossimo alla fine; o torniamo a guardare innanzi, a darci obiettivi ambiziosi che vadano oltre l’immediato, o dobbiamo rassegnarci ad un destino marginale, di paese in sempre più rapida via d’impoverimento.

Dobbiamo rimetterci in marcia, come dicono ormai tutti, ma non potremo farlo se, nella nostra società, non vi sarà una larga condivisione degli obiettivi. Spero che le parti sociali comprendano di questo semplice dato di fatto e, con buona pace dei mente..catti che si augurano il contrario, rinnovino gli sforzi per arrivare alla più completa concertazione.

Mi auguro che i sindacati facciano sentire la loro voce nelle forme e nei luoghi appropriati; che concordino con le rappresentanze degli industriali (che pure paiono essersi resi conto dei macroscopici errori commessi in passato) una piattaforma di misure per la crescita da sottoporre al Governo. Un documento fondamentale, se si arrivasse a stilarlo, che nessuna parte politica potrebbe permettersi d’ignorare perché rappresenterebbe le richieste di tutta l’Italia che produce; di tutta l’Italia che paga i conti.

E’ quel che si sarebbe dovuto fare già ora, durante la definizione della finanziaria, magari partendo dai punti del programma di Marcegaglia di un paio di mesi fa. Si strillò perché vi si parlava di riforma delle pensioni; col senno di poi appare assai più equo di quanto il governo Monti, con tutti i condizionamenti che subisce da chi, specie al Senato, ha ancora un’ampia maggioranza relativa, sia riuscito a fare.

Per i sindacati, insomma, auspico un futuro fatto di proposte, di progetti, di tanta mediazione e, soprattutto, di responsabilità assunte in prima persona.

Un futuro che, dopo un recente passato ed un presente adolescenziali, fatti di proteste formali e remissività sostanziale, sia fatto, finalmente, di maturità.

 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di Truman Burbank (---.---.---.251) 13 dicembre 2011 15:40
    Truman Burbank

    Per motivi opposti all’autore mi ritrovo d’accordo su alcune sua conclusioni, in particolare con il concetto che i sindacati non hanno difeso i lavoratori, come pure con l’idea che lo sciopero spesso sia un vuoto rituale.
    Credo però che in sostanza il fallimento dei sindacati (nel difendere i lavoratori, non nel garantire privilegi ai sindacalisti ed ai sindacati) sia dovuto al loro avere abdicato alla difesa dei lavoratori per difendere Confindustria e governi fallimentari come quello attuale. I sindacati che rappresentavano una parte ben precisa hanno voluto far finta di essere imparziali per acquisire vantaggi, alla fine dei conti non rappresentano altro che se stessi e non vengono visti con favore da nessuno.

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