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La questione meridionale

Durante l’ultima puntata di un popolare talk show televisivo, Romano Prodi ha indicato la questione meridionale come una fra le tre più importanti emergenze nazionali che differenziano il nostro paese dal resto della Comunità Europea.

Se in generale non si registrano grandi differenze fra noi e gli altri, quando si arriva al Meridione le cose cambiano radicalmente a tutto nostro svantaggio. E l’ex premier (diversamente dalle altre due emergenze) sembrava quasi smarrito davanti al problema, impossibilitato ad indicare un metodo, un percorso da fare per affrontarlo.

In effetti Prodi vive nella sua Emilia, che è la regione più distante economicamente dal Meridione, e questo non lo pone certamente nella migliore delle posizioni per esaminare la questione meridionale, quale si presenta ai nostri giorni.

Il vostro reporter, invece, è proprio nella migliore delle posizioni, ossia in una delle aree più arretrate del Meridione e, pertanto, ha voluto impegnarsi nel cercare di capire l’essenza della questione meridionale.

Per studiare scientificamente un problema, occorre «ricercarne i principi e le cause» (Aristotele, Metafisica, XI, 7-8); ed alla ricerca di essi si è mosso sin dal primo mattino, aggirandosi sotto casa fra giornalai e bottegai, impiegati delle Poste e baristi, insegnanti e fruttivendoli, un poco come faceva Socrate, che girava per tutta la polis, interrogando sul significato delle parole rivolte a Cherofonte dall’oracolo di Delfi.

Il giornalaio era stato uno dei primi ad aprire la sua attività, malgrado il persistente freddo di quest’anomalo ritardo d’inverno: lui, certamente, con la questione meridionale, poco c’entrava. Ma lo stesso valeva per il barista, che alle sette di mattina aveva già sfornato i primi cornetti; e, a pensarci bene, la cosa valeva ancor di più per il verdumaio, che addirittura all’alba era andato ai mercati generali per rifornire il suo bancone. E che dire del panettiere, il primo a mettersi in attività? Lo sanno tutti che lavora quando gli altri ancora dormono.

Insomma, non riuscivo a trovare uno che, con la questione meridionale, in qualche modo c’entrasse.

A questo punto mi è sorto un dubbio: forse per trovare qualcuno che in qualche modo con la questione meridionale c’entrava, dovevo recarmi presso i palazzi del potere e delle istituzioni e la cosa non mi entusiasmava, proprio perché, a dire il vero, quando posso, li evito.

Allora mi si è accesa in mente una lampadina e mi sono chiesto: giornalaio e verdumaio, barista e panettiere, si preoccupano di essere anche buoni cittadini? Si arrabbiano se, ogni volta che hanno bisogno delle istituzioni, per vedere riconosciuti i loro diritti, devono ricorrere all’eterno metodo dell’«amico che ti fa il favore»?

Si ribellano se le assunzioni e le carriere nel pubblico impiego avvengono sempre e solo seguendo logiche clientelari? Si indignano se la politica è stata da tempi immemorabili espulsa per far posto alla sua degenerazione chiamata "politica clientelare"?

Subiscono passivamente ingiustizie e soprusi? E così via dicendo. Per carità, non voglio accusare nessuno, ci mancherebbe! Questi signori sgobbano tutto il giorno tirando la carretta e sarebbe veramente troppo chiedergli anche di affrontare il Principe (quello di Macchiavelli, naturalmente; oggi si dovrebbe dire meglio, la classe dirigente).

Così il vostro reporter ha trovato una risposta alla domanda, che si era fatto, ed ha posto fine alla passeggiata mattutina: è scientificamente acclarato che la questione meridionale è un problema che non presenta soluzioni.

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