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La nuova tassa russa di fatto nazionalizza il settore petrolifero

La Russia prepara una nuova imposta sui redditi del settore petrolifero. Per il suo importo e il suo meccanismo, l'imposta equivale a una nuova nazionalizzazione del settore. Il suo scopo? Finanziare la politica estera di Putin.

Mosca sta varando una nuova imposta sul settore petrolifero che equivale, in pratica, a una rinazionalizzazione dell'industria. Il motivo è da ricercare nello sforzo finanziario richiesto dalla guerra in Ucraina e dalla caduta del prezzo del petrolio, che stanno colpendo duramente l'economia russa. Per un Paese che esporta sopra tutto materie prime ed energia (oltre alle armi sofisticate che escono dai confini con il marchio sdelano v Rossijskoj Federacii, cioè made in Russia), il controllo su questi prodotti è cruciale. La nuova tassa ha lo scopo di mobilitare le risorse del settore petrolifero al servizio della politica estera di Putin.

Nel secondo trimestre del 2015, l'attività in Russia si è contratta del 4,6% rispetto all'anno prima, contro un calo ben minore nel primo trimestre (2,2%). Il governo si aspettava una contrazione più contenuta. Il rublo ha risentito del deterioramento: se un anno fa bastavano 35 rubli per comprare un dollaro, a dicembre 2014 ce ne volevano 70. Nonostante un transitorio rafforzamento fino a quota 50, oggi siamo di nuovo in prossimità del cambio di dicembre. Nonostante la recessione, il Paese conosce oggi una risalita dell'inflazione, che sfiora ormai le due cifre.

La Banca centrale russa ha cercato di sostenere il rublo e raffreddare l'inflazione: per questo ha alzato i tassi dal 6,5% al 17%, per poi di nuovo abbassarli gradualmente fino all'11%. Sono comunque tassi elevati, che non consentono all'economia di risollevarsi. L'impatto delle sanzioni occidentali poi non è da sottovalutare, così come il costo elevato del sostegno ai separatisti del Donbass e dell'assistenza alla Crimea, la cui economia disastrata ha un continuo bisogno di aiuti.

Ls risposta a queste difficoltà non è soltanto politica. I tre quarti dei russi appoggiano Putin e la sua linea nei confronti delle minoranze russe e russofone oltreconfine, ma il problema di finanziarla, questa politica, non si risolve con il solo entusiasmo nazionalistico. La nuova tassa sul petrolio serve appunto a questo.

La base imponibile, secondo la pubblicazione Vedomosti, è il valore del petrolio estratto meno le tasse, le spese di trasporto, le spese operative e gli investimenti. L'aliquota è il 70%, un livello altissimo, addolcito solo dal fatto che viene prelevato una volta pagate le spese e che alla proprietà viene riconosciuto un ritorno del 6% sul capitale. In pratica, la maggior parte del reddito e il rischio imprenditoriale vengono trasferiti allo Stato, mentre ai proprietari nominali tocca un ruolo simile a quello degli obbligazionisti.

Una vera e propria rinazionalizzazione del settore più importante dell'economia russa, con la fine del capitalismo da Far West che aveva fatto séguito al periodo comunista, ma anche con il ritorno allo statalismo nell'economia, in nome degli obiettivi nazionalistici di Mosca sul piano geopolitico. I corsi e ricorsi della storia, come li chiamava Giovan Battista Vico.

Paolo Brera

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