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La lente di Adam Smith per leggere la riforma Alfano

Dopo aver a lungo puntato gli avversari, il governo ha fatto una finta e si è liberato per il cross, lanciando nell’area della politica una riforma del sistema di legalità che ha spiazzato in tanti. In base alle mosse e contromosse dell’esecutivo ci si aspettava un insieme di norme che, in un modo o nell’altro, avrebbero consentito al premier, diciamo così, di farla franca nei procedimenti penali che la Procura della Repubblica di Milano, con certosina pazienza, ogni tanto apre su di lui; ed invece è venuto fuori un testo che giammai potrà giungere ad interferire con questi procedimenti.

Tutto a posto, direte voi? Forse non automaticamente, forse è meglio preoccuparsi di trovare la lente giusta da inforcare per leggere il testo della riforma Alfano.

Un aiuto ce lo può dare un passo del famoso La ricchezza delle Nazioni scritto da Adam Smith, un passo che ha come protagonisti i padroni manifatturieri, ossia gli imprenditori dell’Inghilterra agli albori della Rivoluzione Industriale; ed alla categoria degli imprenditori appartiene inequivocabilmente e per intero l’attuale premier. Vediamo cosa ci dice Adam Smith su di loro.

«I mercanti ed i padroni manifatturieri sono le due classi di persone che comunemente impiegano i maggiori fondi (i.e. i maggiori capitali) e che, con la loro ricchezza, si attirano la massima considerazione da parte del pubblico. Siccome essi, per tutta la vita, sono occupati in programmi ed in progetti, hanno speso maggiore acutezza di intelligenza della maggior parte dei gentiluomini di campagna. Tuttavia, siccome i loro pensieri sono comunemente rivolti piuttosto all’interesse del loro particolare ramo di affari che all’interesse generale della società, il loro giudizio, anche quando è dato con la massima obiettività (cosa che non sempre si verifica) è molto più degno di affidamento nei riguardi del primo di questi scopi che nei riguardi del secondo. [….] La proposta di una nuova legge o di un regolamento di commercio che provenga da questa classe dovrebbe essere sempre ascoltata con grande precauzione e non dovrebbe mai esser adottata, se non dopo averla esaminata a lungo ed attentamente, non solo con la più scrupolosa, ma anche con la più sospettosa attenzione. Tale proposta, infatti, proviene da un ordine di uomini il cui interesse non è mai esattamente uguale a quello del pubblico e che, generalmente, ha interesse ad ingannare e anche ad opprimere il pubblico, come in effetti ha fatto in numerose occasioni».

Sin qui Adam Smith, nel lontano 1776 nella ventosa, gelida e piovosa, ma verde, Scozia, terra di grandi whiskey e di grandi pensatori.

Insomma, secondo Smith i cittadini devono leggere la riforma Alfano dopo aver inforcato le lenti dell’astuzia e della sospettosa attenzione, per verificare dove il bene personale del proponente è celato in mezzo al bene comune che la norma dice di propugnare. Non dovrebbe essere difficile: a livello mondiale siamo considerati i campioni in assoluto di scaltrezza, anche più degli stessi greci da cui in parte discendiamo (almeno quelli che, come il vostro cronista, abitano le terre che un tempo formarono la Magna Grecia).

Indossata questa lente, la lettura del testo della riforma Alfano ci mostra subito una sua particolarità: nessun intervento è previsto per razionalizzare lo svolgimento dell’attività dei tribunali, mentre si ha una sorta di lavoro collage che ritaglia competenze alla Magistratura e la assegna ad altre Istituzioni. In particolare il governo verrebbe a controllare attraverso le forze dell’ordine la fase delle indagini in maniera da poter a suo piacimento assolvere senza processo chi volesse assolvere: se niente indagini, allora niente incriminazioni e, perciò, niente processi e niente condanne. Insomma, sotto la bilancia della giustizia da riequilibrare, appare una mano prepotente che vorrebbe il potere esecutivo, quello del premier, assoggettare a se il potere giudiziario.

A questo punto la discussione in Parlamento non è delle più facili: perché, come una volta ebbe a dire lo stesso premier, «giammai sarà felice il tacchino per l’arrivo del Natale»; dove il tacchino è il governo ed il Natale sono i parlamentari che volessero difendere l'autonomia della Magistratura.

Se poi nella discussione si volesse aggiungere alla riforma Alfano anche la legge elettorale, che ha tolto al Parlamento gran parte della sua indipendenza sempre in favore dell’esecutivo, il rischio di un eclatante cortocircuito parlamentare sarebbe praticamente inevitabile.

Insomma, era meglio una legge ad personam: avrebbe fatto meno danno, limitandosi a favorire i discutibili costumi privati del premier senza però danneggiare l’organizzazione istituzionale peggio dello tsunami sui reattori nucleari di Fukushima.

Comunque sia di ciò, indossiamo le lenti della scaltrezza indicate da Adam Smith e non togliamocele neanche per andare a dormire (almeno finché sarà premier un padrone manifatturiero).

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