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La forza innovativa della musica di Miles Davis

Il 1959 è un anno fondamentale per la storia della musica. Tra gli eventi d’eccezione che si verificano in quell’anno vi è la nascita di un sestetto di irrepetibili musicisti jazz promosso da Miles Davis. L’ensemble è formato dallo stesso Davis alla tromba, da John Coltrane al sax tenore, Julian ‘Cannonball’ Adderley al sax contralto, Bill Evans al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria. Miles Davis, in quegli anni, è già molto conosciuto. E’ l’ex enfant prodige che dà inizio, a soli quindici anni, a una straordinaria carriera, la sua, di professionista del jazz. Appena tre anni dopo, a diciotto, si ritrova a suonare il bop con autentici miti della musica come Charlie Parker e Dizzy Gillespie, sommi maestri di quel nuovo stile jazzistico molto in voga negli USA intorno agli anni Quaranta.

Già nel 1957 la collaborazione artistica di Miles Davis con Gil Evans aveva dato luogo a Birth of the Cool, disco fondamentale per la storia del jazz perche attraverso l’invenzione di una musica nuova di zecca che successivamente sfocerà, in terra californiana, nel jazz bianco di Jerry Mulligan e Dave Brubeck, di fatto introduceva mutamenti e ampliamenti d’orizzonte nel bebop. In Birth of the cool, che si avvale degli arrangiamenti di Evans, suonano musicisti di prim’ordine come Gerry Mulligan, John Lewis, Lee Konitz, Max Roach, Kenny Clarke e molti altri. Disco seminale, si diceva: Paolo Fresu, sul fortunato sodalizio Davis-Evans ha significativamente sostenuto che "sia Gil che Miles, hanno cambiato il corso della musica del Novecento miscelando pochi ingredienti. La musica non ha bisogno di molto. Ha bisogno di anima e questa si cela soprattutto nel silenzio…"

Agli inizi del Marzo 1959, dunque, Miles Davis entra in studio di registrazione con il sestetto e nel giro di poche settimane termina le sedute di incisione dell’indimenticabile Kind of Blue. Alle registrazioni partecipa, in uno solo dei brani incisi, anche il pianista Wynton Kelly. Si racconta che a Davis l’operazione costò solo poche migliaia di dollari: oltre al fitto della sala, il trombettista dovette assicurare ai musicisti suoi collaboratori la retribuzione prevista dai minimi sindacali e farsi carico del compenso per l’accordatore del pianoforte. Kind of Blue contiene sei brani (So what, Freddie freeloader, Blue in green, All blues, Flamenco Sketches; un settimo brano, Flamenco sketches (alternative take), è stato inserito in edizioni più recenti del LP che costituiscono un momento di riflessione e di ripartenza rispetto ai canoni dell’improvvisazione jazzistica vigenti negli anni in cui il disco fu inciso; allo stesso tempo la musica contenuta in Kind of blue detta le linee conduttrici di un nuovo modo di suonare il jazz che a partire da quel momento avrebbe influenzato una nutritissima schiera di musicisti a venire. Un disco rivoluzionario, dunque, talmente rivoluzionario che da alcuni viene considerato come una delle opere musicali più influenti del XX secolo; altri lo hanno provocatoriamente definito il più grande disco di rock’n’roll mai inciso, il che rende bene l’idea di cosa possa aver significato nell’ambito della musica moderna l’incisione di quest’opera straordinaria.

Se volessimo lanciarci in un paragone cinematografico potremmo dire che Kind of blue ha significato per il jazz ciò che per il cinema ha rappresentato Fino all’ultimo respiro di Godard.

Più nel dettaglio si potrebbe parlare della musica di Kind of blue come dell’affermazione di un nuovo modo di concepire l’improvvisazione jazzistica, una improvvisazione che con il disco di Davis diventa ‘modale’, fondata cioè su una infinita creazione di linee melodiche potenzialmente sviluppabili avendo come punto di riferimento non la struttura armonica di un tema ma diversi tipi di scale denominate ‘modi’. Una scelta ben precisa che va ben oltre il bebop e l’hard bop e che lascia al musicista una maggiore libertà di fraseggio, quella del jazzista americano, che sosteneva: ‘Quando si imbecca quella strada si può andare all’infinito. Non ci si deve più preoccupare dei cambiamenti degli accordi e si hanno maggiori possibilità di lavorare sulla linea melodica.’ (Miles Davis citato in: Arrigo Polillo, Jazz, edizione aggiornata a cura di Franco Fayenz, ristampa del 2007).  

Le linee fondamentali su cui poggiare la dialettica strumentale dei vari musicisti che incisero Kind of blue furono stabilite da Davis appena qualche ora prima che iniziassero le sedute di registrazione. I risultati di questa nuova concezione musicale risultano evidenti fin dal primo ascolto del disco, che è caratterizzato da atmosfere soffuse di immediata fruizione. Il suono ovattato dei fiati di Davis, Coltrane e Adderley, la levità cristallina delle note del pianoforte, il pulsare preciso e mai invadente della sezione ritmica e l’ottimo (per l’epoca) livello tecnico delle registrazioni, contribuiscono a fare di Kind of blue un contenitore di musica carica di suggestioni (anche, in qualche modo, ‘etniche’; ascoltate, tanto per citarne una, la già richiamata spagnoleggiante Flamenco Sketches ).

Il ruolo di grande innovatore di Davis, però, non si esaurisce con lo straordinario seguito avuto da Birth of the cool e Kind of blue. Il solista americano, infatti, sul finire degli anni Sessanta fu ancora il diretto protagonista di un’altra importante svolta musicale.

Registrato in appena tre giorni (tra il 19 e il 21 Agosto del 1969, per la precisione) l’album Bitches Brew segna l’incontro della musica jazz con il rock d’avanguardia, suggestiva miscela che nel corso degli anni si sarebbe rivelata fortunatissima.

Anche Bitches Brew deve essere considerato come un disco miliare per la musica del secolo scorso perché dà inizio a un vero e proprio genere musicale, il Jazz-rock, che durante gli anni Settanta ebbe per protagonisti, tra gli altri, anche molti dei musicisti che nel 1969 parteciparono alle sedute di registrazione (Wayne Shorter, Joe Zawinul, Chick Corea, John Mc Laughlin, Jack De Johnette, Billy Cobham). A partire da Bitches Brew il Jazz-Rock da un lato riscosse molte critiche da parte degli appassionati del jazz classico, dall’altro seppe guadagnarsi un esercito di nuovi estimatori. Omogeneo sotto il profilo della ritmica e godibilissimo sotto il profilo musicale (le tracce presenti nell’edizione originale sono sei, mentre le ultime edizioni su CD sono state ampliate con alcune bonus track), Bitches Brew è ricco di atmosfere di grande fascino, di continui intrecci strumentali, di sonorità elettriche, di inserti ‘rockeggianti’ e marcate inflessioni funk.

Miles Davis è scomparso nel 1991 non prima di avere sperimentato ulteriori strade e contaminazioni musicali innovative (sono degli ultimi anni, per esempio, con l’uscita di produzioni discografiche molto criticate dal punto di vista artistico, gli ‘avvicinamenti’ del musicista alla musica elettronica e all’hip-hop). Miles Davis ha lasciato una sterminata dote di testimonianze registrate. Basta ascoltare uno qualsiasi dei suoi dischi per avvertire il peso gravoso della sua assenza e per farci pensare che vorremmo averlo ancora tra noi.

 

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