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La fine della democrazia in appalto

Il diluvio, temuto e previsto da tempo, è arrivato.

Il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni si è fatto improvvisamente e cautamente silente, anche per tacere sulle sue nuove ed ulteriori responsabilità che hanno favorito gli esiti di questi giorni incerti.

Non è stato certo un belvedere, né un bel sentire, per il consesso internazionale ed europeo di cui siamo parte, l’attacco che il Premier ha riservato al Ministro dell’Economia, alla vigilia della presentazione della tanto attesa manovra finanziaria, corredata e funestata – ancora una volta! – da due utilissime norme, introdotte, in maniera furtiva e recidivante, all’insaputa di tutti (?), poi ritirate (per indecenza?).

Ecco il prezzo che siamo chiamati a pagare, dopo questi oltre 15 anni di democrazia ceduta in appalto all’azionista unico del PDL, della Lega e dei responsabili d’accatto.

Ecco il conto da saldare a seguito della solita arroganza e del potere, dell’immarcescibile vizio e propensione al malaffare di una casta che si autotutela, espande la sua longa manus occupatutto ed impone rigore e sacrifici alle solite categorie sociali, fermo restando il suo assoluto, inalterabile e intangibile privilegio.

Ecco l’abisso nel quale ci hanno gettato questi presunti esponenti del “nuovo”, carichi di tutto l’armamentario e l’esperienza maturata nel loro lungo corso politico e pre-politico, consumatosi nella palestra della Prima Repubblica, da protagonisti o da comprimari.

Ecco giunto il tempo di dichiarare il totale fallimento del berlusconismo e di tutto il personale a servizio.

A manovra approvata, grazie alla solidarietà (solidità) nazionale, invocata dal Presidente della Repubblica, occorrerà cambiare rotta e nocchiero.

L’Italia nella tormenta è tutta opera meritoria del miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, spalleggiato dalla rozzezza regionalista del sedicente straniero in Patria, stanziale a Roma, e da tutti gli accattoni che hanno teso la mano.

Certo ora è tempo di dimostrare compattezza e unanime spirito nazionale.

Senza però fingere che le responsabilità di chi ha portato l’Italia sull’orlo del baratro siano da ricercare altrove.

Il figlio legittimo della Prima Repubblica dimostri d’avere un residuo di dignità politica e personale capaci di cedere il passo all’interesse nazionale e collettivo.

A tempo debito si faccia da parte, per la completa e manifesta inettitudine per la politica e per l’arte del governare.

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