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 Home page > Tribuna Libera > La difesa della Costituzione: il ruolo degli intellettuali

La difesa della Costituzione: il ruolo degli intellettuali

Le manifestazioni in difesa della Costituzione tenutesi sabato scorso nelle principali città italiane, mi hanno spinto ad alcune riflessioni che vorrei offrirvi.

Dubito che nel rispetto dello spirito della Costituzione, se non della sua lettera, il Parlamento eletto con l'attuale sistema possa ritenersi pienamente legittimato ad approvare delle leggi costituzionali.

"Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione".

Se è vero che questo recita recita l'articolo 138 della nostra legge fodamentale, va però anche ricordato che i Padri Costituenti, nel dettarlo, pensavano al Parlamento che essi stessi avevano previsto e quindi eletto in modo puramente proprozionale.

Richiedendo che le leggi costituzionali fossero approvate dalla maggioranza assoluta in un simile Parlamento, i Costituenti volevano proprio evitare che fossero il risultato dell’imposizione di una parte poltica sull’altra; volevano assicurarsi che le norme su cui si basa la vita della Repubblica fossero condivise da una maggioranza assoluta di cittadini, prima ancora che di parlamentari.

Con l'attuale legge elettorale, invece, ad una maggioranza parlamentare non corrisponde una pari maggioranza di elettori e, tanto meno, una maggioranza degli aventi diritto al voto. La maggioranza che oggi è assoluta in parlamento, detto altrimenti, può benissimo essere, e di fatto è, maggioranza solo relativa nel paese.

Se davvero si vogliono fare modifiche costituzionali che rappresentino un nuovo punto di partenza per la nostra vita pubblica, non si può, a mio parere, che pensare di eleggere, prima e con il più puro dei sistemi proprorzionali, una nuova Assemblea Costitutente.

Resta, però, che nessuna Maginot di leggi può proteggere una Costituzione se non vi sono, prima di tutto, dei Cittadini che la comprendano e amino.

Lo hanno compreso benissimo proprio le forze antidemocratiche che nell’ultimo secolo hanno fatto della riduzione dei cittadini a plebe il cardine delle loro strategie eversive.

Questo è il tratto comune di tutti i populismi, qualunque sia il colore della loro bandiera; per realizzarsi hanno bisogno che spariscano i cittadini; che al loro posto vi sia il popolo, la massa, la gente. Hanno bisogno, i pifferai magici di ogni epoca, di una folla di topolini da far danzare al suono delle proprie melodie; necessitano, i mandriani d’uomini, d’un parco di stolidi buoi da condurre agitando lo straccio della paura.

Il Cittadino che sia stato educato a sentire lo Stato come cosa sua, che sia stato abituato alla riflessione e che sappia come informarsi sullo stato delle cose è il mattone con cui si costruisce la democrazia e la sua unica vera difesa.

Nell’incertezza che accompagna tutte le epoche di crisi i cittadini si fermeranno a ragionare per capire il da farsi; il popolo correrà a cercarsi un capo che lo rassicuri e gli dica che fare.

Il capitalismo postindustriale, amorale e ademocratico, necessita le stesse masse prive d’autocoscienza di cui ha bisogno il populista; il consumatore che segue acriticamente una moda, che si fa imporre sogni e bisogni, è lo stesso individuo-massa che reagisce alle sfide della modernità stringendosi attorno a un totem ideologico e obbedendo agli ordini di un sacerdote illuminato.

Berlusconi imprenditore e Berlusconi politico, per venire al caso nostro, necessitano della stessa gente; ignoranza, in-coscienza e voglia d’omologazione sono funzionali al primo come al secondo.

Il ruolo dell’intellettuale antagonista (figura che nella storia italiana è quasi inesistente e comunque irrilevante; gli intellettuali italiani, salvo rare e sante eccezioni, per il modo stesso in cui viene selezionata la categoria in un paese di non – lettori, sono sempre state delle baldracche) non è quello di parlare alle masse (questo è il mestiere dei duci e dei ducetti neri, rossi, verdi e bordeaux) ma quello di decomporre la massa in somma d’individualità pensanti e ragionanti.

Anziché sognare d’essere su un palco davanti ad una piazza gremita di gente che già la pensa come loro, o dentro ad uno studio televisivo ospiti di un conduttore a loro congeniale, gli intellettuali dovrebbero pensare a come andare a parlare con i propri vicini di casa che magari votano Berlusconi; a come comunicare in modo chiaro con gli abitanti leghisti del proprio quartiere o anche, semplicemente, a come vincere ad andare a votare quell’avventore del bar dietro casa che ha, da tempo, perso ogni interesse per la politica.

La resistenza si fa ragionando e insegnando a ragionare e, prima ancora, insegnando a credere in se stessi: è dalla fiducia in se stessi che nasce quella nel prossimo ed è dalla fiducia nel prossimo che nasce la fede nella democrazia.

La vera opposizione si fa partendo dalle basi, costruendo o ri-costruendo il cittadino: è uno sporco lavoro che richiede tempo e va fatto quasi individualmente.

Parlando dall’alto e a colpi di slogan si può, al massimo, mantenere compatta la propria tifoseria; si oppone al populismo qualcosa di dannatamente simile.

Ci si è, in fondo, già arresi.

Commenti all'articolo

  • Di Luigi Sibilio (---.---.---.243) 14 marzo 2011 15:11

    E allora, bisogna essere estremamente chiari nel definire l’area a cui si vuole parlare. 

    Perché non si può pensare di creare una totalità di pensiero, il pensiero unico; ma, anzi, bisogna far nascere e crescere la convinzione che la diversità di pensiero è una risorsa.
    E, nonostante questa diversità, noi crediamo in un’area che sia non "di sinistra", ma "progressista".
    Dobbiamo porci questo come primo obiettivo. Definire precisamente cos’è il progresso, come immaginiamo il futuro, a quale obiettivo vogliamo arrivare.
    Porto un esempio: per vivere serve lavorare. Ma il lavoro oggi è un meccanismo che ha il solo obiettivo di portare al ricevimento di un salario, di una retribuzione, per poter mangiare e consumare beni di produzione. Un circolo vizioso insomma.
    Il lavoro non è più il mattone con cui si costruisce la società, il contributo che ognuno di noi dà all’organismo civile.
    Deve nascere invece la coscienza che non è obbligatorio passare 8 ore in fabbrica, ma è utile per il raggiungimento di un fine. E deve essere chiaro il fine, per poter trovare la migliore strada per raggiungerlo.
    In Norvegia ad esempio hanno una giornata lavorativa molto più corta della nostra: quindi è possibile avere un’economia competitiva anche così. Meno ore di lavoro significano più tempo libero e meno stress, ma anche più tempo per interessarsi alla comunità. Un circolo virtuoso insomma.
    Stesso discorso per la questione energetica, troppo indefinita ad oggi. Devono arrivare informazioni chiare, da cui devono nascere progetti seri.
    Le energie rinnovabili oggi non sono questo.
    Partiamo da qui.
  • Di Daniel di Schuler (---.---.---.101) 14 marzo 2011 18:30
    Daniel di Schuler

    Sono solito dire che, anziché partecipare alla guerre per il petrolio dichiarate da altri, l’Italia dovrebbe dichiarare una propria guerra al petrolio -e a tutti gli altri combustibili fossili -; sarebbe il primo paese a farlo e accumulerebbe un vantaggio decisivo in quello che, prima della avvento, chissà quando, della fusione nucleare, sarà il settore chiave dell’economia prossima ventura.
    Incentivare al massimo lo sviluppo delle energie rinnovabili, dalla ricerca alla produzione, dovrebbe essere il primo obiettivo di qualunque governo che avesse a cuore le sorti dell’Italia e dei suoi cittadini.

  • Di fernanda cataldo (---.---.---.75) 14 marzo 2011 20:13
    fernanda cataldo

    un buon articolo.

    ferni

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